“Ha fatto quello che doveva fare, cioè ha fatto l’omicidio di Franco e poi se n’è andato in vacanza in Calabria. Al ritorno, Rullo si vantava di aver ammazzato Mancuso, così ho avvisato Bartolino che ha detto semplicemente: Ci penso io”.
Collegato in videoconferenza con la Corte d’Assise di Como, il volto mai visibile, il collaboratore di giustizia Luciano Nocera, figura chiave della ‘ndrangheta comasca ha dato oggi la sua versione dei fatti sull’omicidio di Franco Mancuso, ucciso a Bulgorello di Cadorago l’8 agosto 2008. Proprio le parole di Nocera, nel 2015, sono state la chiave per gli inquirenti per riaprire le indagini sul delitto e arrivare alla svolta, con l’arresto di Luciano Rullo e Bartolomeo Iaconis, per l’accusa esecutore materiale e mandante dell’omicidio dell’autotrasportatore 35enne.
Nocera punta il dito contro Rullo. “Mi ha raccontato dell’omicidio, si vantava di averlo fatto – dice – Ma non doveva farlo, queste cose non si dicono, era una cosa loro interna. Così ho avvertito Bartolino”. Bartolino, ovvero Bartolomeo Iaconis, al quale l’attuale collaboratore di giustizia avrebbe riferito del comportamento scorretto di Rullo.
Rispondendo alle domande del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Milano Sara Ombra, oggi in aula accanto alla collega Cecilia Vassena, Nocera ha ripercorso la storia della ‘ndrangheta nel Comasco negli ultimi 30 anni, partendo dai “Fiori della notte di San Vito. Affiliato alla Locale di Canzo, ha ricordato anche il suo rito di affiliazione: “Mi fecero un taglio sul dito a forma di croce e mi fecero bruciare un santino, giurai che se uno della mia famiglia avesse tradito lo avrei ammazzato. A me però interessava altro, quelle erano solo parole che non mi piacevano, i soldi li facevo con il traffico di stupefacenti”.
Nocera ha ripercorso anche alcuni dei più efferati delitti di ‘ndrangheta avvenuti nel comasco, in particolare quelli di Ernesto Albanese, per cui sta scontando l’ergastolo e di Salvatore Deiana. “Anche lui sapeva quello che era successo a Franco Mancuso”, ha detto prima di ricordare perché ha deciso di diventare un collaboratore di giustizia: “Si sono allontanati tutti. Ma non c’è problema, ognuno fa la sua vita. La galera non mi fa paura. La ‘ndrangheta non è più la stessa, contano solo interessi e business, ci ammazziamo tra noi per 300 euro, le regole e i principi oggi non esistono più”.