Nei giorni scorsi Valentin Vogt, il presidente dell’Usi (Unione svizzera degli imprenditori), la Confidustria elvetica, ha definito i frontalieri «una benedizione» per la Svizzera e per il Canton Ticino.
Il discorso pare però un po’ meno poetico se si analizzano i dati diffusi nel 15° rapporto della Segreteria di Stato dell’economia sulle ripercussioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. Gli italiani che vivono sul confine e lavorano in nella Confederazione costano infatti molto meno rispetto agli svizzeri. Il 9,2% in meno nel 2018.
Lo studio precisa però che non si tratta soltanto di una questione di provenienza del lavoratore: «Per i frontalieri, la metà dello scarto salariale del 9,2 % rispetto ai residenti permanenti può essere spiegata anche da caratteristiche legate alla persona, alla funzione ricoperta o all’azienda stessa».
Molti dei frontalieri in Svizzera, è noto, come esercitino professioni già a retribuzione inferiore, come quelle dell’operaio o del muratore nell’edilizia.
In Canton Ticino si parlava del -8% già nel 2016. Dato dovuto «alla situazione particolare» del cantone italofono, si legge nel rapporto. Ovvero al fatto che in Italia le retribuzioni siano molto più basse.
Infine un altro numero: il mercato del lavoro oltreconfine si conferma solido. Nel 2018 vi è stato un saldo migratorio in Svizzera di 31.200 persone dall’Unione Europea e da altri Paesi del vecchio continente stabile rispetto al 2017.