«Eventuali iniziative volte a sollecitare la firma dell’accordo parafato nel 2015 devono avvenire nel rispetto del quadro normativo vigente». Ancora una volta, l’ennesima, il governo di Berna ribadisce in un documento ufficiale la sua posizione sulla trattativa aperta con l’Italia per la revisione del trattato sulla doppia imposizione fiscale.
Niente colpi di mano da parte del Ticino. E, soprattutto, niente iniziative di ritorsione contro i Comuni di frontiera.
L’occasione per ripetere quanto già scritto più volte è stata data al consiglio federale da due interpellanze parlamentari presentate dai deputati ticinesi Lorenzo Quadri, Lega dei Ticinesi) e Marco Chiesa, Udc. Entrambi, in forme diverse, hanno chiesto al governo elvetico se non fosse giunto il momento di utilizzare con l’Italia un metodo meno diplomatico, magari dichiarando in maniera unilaterale la fine dell’accordo siglato nel 1974.
La risposta è stata negativa. Anzi, qualcosa di più, se possibile.
Perché nella replica all’interpellanza di Chiesa il consiglio federale ha spiegato come in realtà l’intesa del febbraio 2015, pure mai ratificata nel capitolo relativo ai fondi dei frontalieri, sia stata positiva per la Svizzera. «Il 23 febbraio 2015 è stata firmata una roadmap che tocca diversi aspetti delle relazioni bilaterali in materia finanziaria e fiscale – si legge nel documento – Da allora sono stati fatti passi in avanti in tutti gli ambiti oggetto della stessa roadmap e il dialogo previsto a proposito di alcuni temi specifici è stato portato avanti».
Il governo di Berna ha pure smentito una volta di più quanto sostenuto dai partiti del centrodestra ticinese, vale a dire che l’accordo del 1974 sia svantaggioso per il Cantone. «Altri Cantoni hanno soluzioni meno vantaggiose anche rispetto all’accordo sui lavoratori frontalieri del 1974» taglia corto il consiglio Federale.