Il governo vuole abolire gradualmente il numero chiuso alla facoltà di Medicina: la notizia, emersa ieri mattina – inizialmente più netta, poi più sfumata – ha fatto discutere sia il mondo medico, sia quello accademico.
“Il numero chiuso è una questione che troppi affrontano in modo ideologico – dice il rettore dell’Università dell’Insubria Alberto Coen Porisini, in carica fino al 31 ottobre – Va invece affrontata su un piano di razionalità. Abolendo lo sbarramento il numero di studenti al primo anno diventa almeno sei volte maggiore dell’attuale. Ciò significa che le università devono avere aule e professori per far fronte alla crescita. Significa moltiplicare i docenti di biochimica e anatomia. L’addio al numero chiuso quindi non è a costo zero”. La proporzione per l’Insubria è 160 posti per 600 richiedenti. “Dovremmo tenere lezione al cinema, ma nessuno dei multisala presenti a Como o a Varese – dice il rettore – ha sale da 600 posti. Oggi poi a ben vedere sarebbero altre le priorità, ad esempio aumentare i posti di specialità. L’Insubria è una università giovane e in crescita – aggiunge il rettore – avremmo notevoli problemi senza numero chiuso a Medicina. Senza contare un aspetto dirimente, ossia le regole del gioco. Prevedono che i corsi siano accreditati, e uno dei criteri di merito è che il numero complessivo dei professori di ruolo sia parametrato al numero di matricole. Non si risolvono così i problemi – conclude Coen Porisini – è una tendenza che si vede spesso in Italia: alzo la soglia dei valori limite dell’inquinamento, così posso dire che l’acqua è potabile. Serve programmazione invece, cosa cui questo paese è abbastanza allergico. Ripeto, ogni decisione ha un costo e non si può scaricare sulle spalle di altri”.