(ANSA) – TRIESTE, 18 AGO – Le 28 mine antinave inesplose giacevano da tempo sulla spiaggia di Pola, Vergarolla, ormai parte del panorama poiché disinnescate, come sapevano tutti. Fin troppo facile, per qualcuno mai identificato, innescarle e farle deflagrare una mattina di affollamento per un evento sportivo. L’esplosione uccise un centinaio di persone, di cui un terzo bambini, molte delle quali furono polverizzate. I medici avrebbero compilato un funereo elenco ricavato dalle membra trovate. Era il 18 agosto 1946, la guerra era finita da un anno e mezzo (non a Trieste) e Vergarolla era una spiaggia prevalentemente frequentata da italiani. Un fattore che è stato considerato da sempre centrale nella decisione di far saltare in aria gli ordigni. Era la spiaggia di Pola, capoluogo istriano di 34 mila abitanti di cui il 95 per cento italiani. Lo scopo era costringere proprio questi ultimi con le buone o con le cattive ad abbandonare le terre d’Istria, Fiume e Dalmazia, l’espulsione dalla Yugoslavia di Tito. In 30 mila presto abbandonarono Pola; in 300 mila partirono dalle tre aree per Trieste e da lì essere smistati nei vari campi profughi allestiti in tutta Italia. Qualcuno – il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna tra questi, lui stesso figlio di un profugo di Pola – cataloga quell’attentato come il primo e il più feroce della Repubblica italiana. "L’Italia deve ricordare Vergarolla, le vittime innocenti e il medico eroe Geppino Micheletti per fissarli nella memoria collettiva da cui per troppo tempo sono stati esclusi", ha scritto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ricordando la strage, "volutamente dimenticata". Dall’orrore un eroe emerse: Micheletti appunto, mentre operava i feriti seppe che i suoi due figlioletti, Renzo e Carlo, il fratello e la cognata erano tra le vittime della spiaggia. Nonostante ciò, continuò a operare. "Noi tutti – si chiede la senatrice Dem Tatjana Rojc – a distanza di quasi 8 decenni, continuiamo a chiederci il perché di tanta premeditata crudeltà. Si impone il dovere di coltivare la memoria, tramandarla ai posteri". (ANSA).