(ANSA) – TORINO, 27 OTT – Il tumore del pene interessa uno o due abitanti su 100.000 in Italia, ma nella sola regione Piemonte si stima che almeno 80 uomini, generalmente adulti o più raramente giovani, vengano operati in un anno. I fattori di rischio, come la fimosi, malattie dei genitali come il lichen e l’infezione da Hpv (che si riscontra in un terzo dei casi) sono tutti arginabili con visite preventive. Si assiste invece a un importante ritardo diagnostico, documentato dal 20’% di malati con malattia avanzata o metastatica, dovuto alla ritrosia del maschio di dichiarare patologie che coinvolgono la sfera intima e alla mancanza di un’efficace prevenzione per le patologie andrologiche. È stato uno degli argomenti principali del Congresso internazionale "i-Mars – International Masterclass in reconstructive surgery", organizzato da Paolo Gontero, direttore della clinica urologica universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, e coordinato da Marco Falcone, urologo della Città della Salute. Oltre a essere una malattia caratterizzata da una peculiare aggressività oncologica, la sua cura prevede un intervento chirurgico molto demolitivo, che comporta nel migliore dei casi un’asportazione parziale del pene, ma non di rado la necessità di un intervento radicale, con conseguenti risvolti negativi sia psichici che sociali. "Il tumore del pene è il tipico caso di una patologia dove un percorso di cura vincente non può prescindere dalla stretta collaborazione tra diverse figure professionali, che sono in grado di integrarsi in una équipe multidisciplinare per affrontare una chirurgia altrimenti impossibile da realizzare" afferma Gontero. "L’evoluzione della chirurgia va nella direzione di tecniche mini-invasive, che consentono interventi più conservativi associati a ricostruzioni estetiche in grado di limitare in maniera significativa l’impatto psicologico sul paziente e incrementando significativamente la qualità di vita" aggiunge Falcone, responsabile scientifico dell’evento. (ANSA).