(ANSA) – CASTELVOLTURNO (CASERTA), 18 SET – Dal red carpet e dai riconoscimenti di Venezia alla realtà dura di Castel Volturno (Caserta), con le sue quotidiane ingiustizie e i ricordi cruenti come la strage camorristica dei ghanesi, il passo per Mamadou – ha ispirato con la sua vicenda personale il film Leone d’Argento "Io Capitano" di Matteo Garrone – è stato breve e piuttosto semplice; "perché prima da ‘capitano’ improvvisato di un barcone di migranti, oggi da consapevole mediatore culturale e attivista del Centro sociale Ex Canapificio di Caserta, il mio posto – dice Mamadou, nome per esteso è Kouassi Pli Adama Mamadou – è sempre stato a fianco dei tanti stranieri e delle loro storie umane di sofferenza e sfruttamento, di chi ha avuto il coraggio e la voglia di rimettersi in gioco, lasciare casa e venire in un altro paese per vivere una vita migliore e più dignitosa". Come fecero i sette ghanesi vittime il 18 settembre del 2008, in piena stagione stragistica di matrice Casalese, dei centinaia di proiettili sparati dai Kalashnikov del gruppo di fuoco di Giuseppe Setola; colpevoli, agli occhi dei sicari, di essere neri, indifesi, e di spacciare, circostanza non vera come emerso da indagini e processi. È proprio Mamadou, che dopo aver conosciuto l’angoscia del viaggio dalla Costa D’Avorio all’Italia ha vissuto lo stesso dolore misto a smarrimento condiviso da tanti italiani vittime innocenti della criminalità organizzata, a leggere nell’aula del Comune di Castel Volturno, di fronte ai ragazzi della scuola media, la "Garibaldi", i nomi dei sei ghanesi uccisi da Setola – Ibrahim Alhaji, Karim Yakubu, Kwame Antwi Julius Francis, Justice Sonny Abu, Eric Affun Yeboa, Kwadwo Owusu Wiafe – e del settimo rimasto ferito – Joseph Aymbora – che testimoniò contro i killer facendoli condannare e morì per cause naturali nel 2012 ricevendo la medaglia al valor civile. "Conoscere la storia di questi ragazzi, del loro viaggio per arrivare in Italia attraverso l’Africa, passando per la Libia – dice Mamadou agli studenti, tra cui molti figli di migranti – è fondamentale per superare le mura del razzismo che divide, e per far comprendere i sacrifici fatti da chi voleva solamente cambiare in meglio la propria vita ed è poi venuto a morire qui". (ANSA).