(ANSA) – NUORO, 17 LUG – E’ stato condannato a 22 anni di reclusione Gian Michele Giobbe, il 41enne accusato dell’omicidio dello zio Esperino, 73 anni, nella sua azienda di su Filighe a Orotelli (Nuoro), in cui entrambi lavoravano, il 17 ottobre 2020. Una pena molto più lieve rispetto all’ergastolo sollecitato dal pm di Nuoro Andrea Ghironi, quella inflitta all’allevatore dalla Corte d’Assise del capoluogo barbaricino, presieduta da Mauro Pusceddu. "Esperino è stato ucciso come un cane", aveva sottolineato il magistrato nella sua requisitoria. La vittima era stata colpita a morte con 17 bastonate e trovata dai congiunti in una pozza di sangue nel recinto del bestiame. Alla richiesta del pm si erano associate le parti civili, Giuseppe Mocci e Gianfranco Flore che tutelano la moglie e le figlie di Esperino Giobbe. Avevano chiesto, invece, l’assoluzione dell’imputato i difensori Lorenzo Soro e Mario Pittalis: "Non può costituire una prova la striscia di sangue trovata su una scarpa di Gian Michele – hanno sottolineato i due legali -. E’ stato lui che ha trovato il cadavere dello zio sulla scena del delitto dove c’erano delle pozze di sangue ed è lì che molto probabilmente la sua scarpa si è sporcata". Quanto al movente, che secondo l’accusa è legato ai terreni e all’azienda intestati alla vittima ma in realtà in comune con altri suoi fratelli, gli avvocati hanno replicato: "Gian Michele non aveva nessun vantaggio dall’omicidio dello zio: non era erede di niente, l’unico proprietario era lo zio che aveva moglie e figlie come eredi. Il litigio sui terreni di famiglia non era tra Gian Michele e Esperino ma tra Esperino e i fratelli, di cui solo uno in vita. Che la situazione tra l’imputato e la vittima fosse tranquilla – hanno aggiunto – è stato evidenziato anche nel corso del processo: nessun teste ha asserito che Gian Michele avesse mai litigato con lo zio". Sotto indagine è finito anche un altro nipote della vittima, testimone nel processo, per cui è stata chiesta la trasmissione dagli atti in procura per falsa testimonianza. Gli avvocati difensori aspettano di leggere le motivazioni della sentenza per poi eventualmente ricorrere in appello. (ANSA).