(di Claudio Scarinzi) Il caro-affitti è riuscito dove hanno fallito il cambio di proprietà, la mutevolezza delle mode, la crisi a periodi del modello fast-food, la piazza ‘ferita’ da anni per i lavori della metrò, perfino la pandemia: il McDonald’s di piazza San Babila a Milano – luogo simbolo dei ‘paninari’ negli anni Ottanta – abbassa le vetrine il 6 dicembre. Il rinnovo del canone, con un probabile aumento, è stata l’ultima tegola per i gestori. Un pezzo di storia della metropoli che se ne va – scrive oggi nelle pagine locali il Corriere della sera – e fa quasi tenerezza ricordare il locale, partito come l’italianissimo Burghy, primo negozio aperto nel lontano 1981 dalla catena di Supermercati GS quando apparteneva al gruppo Sme. Nel 1985 l’intera catena fu acquisita dal Gruppo Cremonini. Poi l’ultimo passaggio, nel 1996 l’acquisizione della multinazionale statunitense della ristorazione veloce McDonald’s allora non ancora affermata in Italia. Ma non è l’aspetto economico o commerciale il più preponderante nella vicenda, piuttosto quello di costume. Bene o male nella piazza dei cosiddetti ‘sambabilini’, politicizzati e di destra, avevano preso spazio nuove generazioni: un mix della ‘Milano da bere’, del disimpegno e della voglia del look giusto a tutti costi. Chi non ricorda i bomber, i piumini in genere della Monclear, le scarpe Timberland, i jeans Levi’s con cintura El Charro. Un vestirsi, per molti discutibile, la cui mancanza ha lasciato però nel tempo, per contraddizione, un po’ di amaro in bocca che poi ora si è colorato di nostalgia. Aspetto importante: i 35 lavoratori del punto vendita all’angolo tra corso Europa e largo Toscanini non perderanno il posto: i sindacati hanno spiegato che ogni dipendente ha scelto dove ricollocarsi, perlopiù tra piazza Duomo e Galleria Ciro Fontana. Insomma chiude un luogo che a modo suo era considerato di culto. (ANSA).