(ANSA) – PERUGIA, 06 APR – "Dal 29 maggio 2019 non ho mai parlato aspettando di essere in una sede istituzionale. In questi tre anni ho avuto su di me e sui miei familiari fango, calunnie e accuse": lo ha detto l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, durante la sua testimonianza di oggi davanti al tribunale di Perugia, nel processo all’ex magistrato romano Stefano Rocco Fava e all’ex consigliere del Csm Luca Palamara, entrambi presenti in aula. In merito all’esposto presentato da Fava nei suoi confronti Pignatone ha detto di essere "il primo a essere dispiaciuto del fatto che il Csm non abbia potuto fare una verifica su quelle quattro carte". "Perché avrebbero capito che non c’era nessuna incompatibilità e che io ho fatto quello che dovevo fare" ha aggiunto. "Ho sentito – ha sottolineato l’ex procuratore – le molte doglianze del dottor Fava, alcune partite da lui e altre riportate: scippo di processi, misure cautelari che non hanno avuto corso. Nessuna di queste è fondata e faceva parte dell’esposto al Csm che verteva su una presunta incompatibilità". Nel procedimento in corso a Perugia a Palamara e a Fava viene contestato di avere rivelato notizie d’ufficio "che sarebbero dovute rimanere segrete" e, in particolare, "che Fava aveva predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a questa il procuratore della Repubblica non aveva apposto il visto". Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale, è accusato di essersi "abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento". Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa "era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell’aggiunto Paolo Ielo" anche con "l’ausilio" di Palamara. (ANSA).