Il caso Acsm-Agam non è una questione solo comasca. Ma ha un significato, un valore politico ben più ampio. Bocciando la proposta di vendere l’8% delle quote comasche di Acsm-Agam ad A2a, il consiglio comunale ha rallentato un piano del governo. Governo che vorrebbe ridurre in modo drastico le ex municipalizzate e che, invece, deve scontrarsi con voti e volontà delle amministrazioni locali. Il “caso Como” è stato trattato dal quotidiano La Repubblica. <Passare dalle dichiarazioni ai fatti concreti non è mai così facile – si legge nelle pagine di economia e finanza – Soprattutto, quando la volontà politica espressa dai vertici nazionali – in questo caso da Palazzo Chigi – non scende poi a livello locale, ai sindaci e fino ai consigli comunali. Ne è un chiaro esempio quanto accaduto pochi giorni fa, con una mancata operazione di semplificazione societaria che vede coinvolte due utility della Lombardia, A2a e Acsm-Agam>. Repubblica ricorda che <il consiglio comunale di Como si è spaccato e anche un gruppetto di consiglieri del centrosinistra ha votato contro. Il progetto potrà essere ripresentato, ma intanto si è perso tempo. E tutto questo accade con società quotate dove il prezzo dei concambi è determinato dal mercato e dovrebbe semplificare procedure e ridurre i tempi>.
L’esempio di Como viene quindi citato per spiegare come, il progetto del governo di ridurre da 8mila a mille le partecipate italiane, debba poi fare i conti con le realtà locali. Al tempo stesso, questa analisi spiega la delicatezza di questa operazione. Spiega perché, in altre parole, il Partito Democratico spingesse per cedere quel famoso 8% di Acsm-Agam: per rispondere a un piano nazionale che mira a creare multiutiliy più grandi, ad aggregare le ex municipalizzate in pochi soggetti.