Pene da un minimo di 2 anni a un massimo di 20, con l’aggravante dell’associazione mafiosa. L’accusa ribadisce la richiesta di condanne pesanti e insiste sul ruolo della ‘ndrangheta nel processo in corte d’Appello a Milano sull’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia sfociata nell’operazione “Gaia”. L’indagine aveva riguardato i locali, le discoteche e la gestione dei buttafuori.
La sentenza di primo grado
Il processo di primo grado, nel marzo scorso, si era chiuso con condanne complessive per 127 anni. Meno rispetto ai 204 totali chiesti dall’accusa. La sentenza inoltre aveva sancito che non c’era la ‘ndrangheta dietro alla presunta attività di controllo delle discoteche e dei locali del comasco.
L’Appello
La procura ora torna a chiedere pene severe. Nell’udienza di oggi a Milano, sono state lette le richieste della pubblica accusa per gli imputati. In tre casi è stato chiesto il riconoscimento dell’aggravante dell’associazione mafiosa. Le accuse per i 18 coinvolti nell’indagine sono a vario titolo di estorsione, porto abusivo di armi, ma anche di traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Al termine del processo di primo grado erano arrivate sedici condanne su diciotto, con pene più basse rispetto alle richieste dell’accusa, da un minimo di 2 anni a un massimo di 14 e senza quel «capo 1» che riguardava l’appartenenza alla ‘ndrangheta per quattro degli indagati.
Le prossime udienze
Dopo la requisitoria dell’accusa, sono già state fissate altre tre udienze. La sentenza di secondo grado dovrebbe essere pronunciata il 28 gennaio.