Un anno esatto fa – era il gennaio 2015 – la decisione che spiazza i mercati finanziari europei: la Banca Nazionale Svizzera, con una mossa a sorpresa, abbandona la quota minima di cambio di 1,2 franchi per un euro. In una mattinata, franco ed euro arrivano praticamente alla parità.
Un’oscillazione che ha conseguenze dirette e immediate sull’economia di confine tra Como e il Canton Ticino. Innanzitutto, lo stipendio dei frontalieri si rivaluta del 20%; poi, cambiano le dinamiche di consumo a cavallo del confine. Con un euro debole rispetto al franco, infatti, il potere d’acquisto degli svizzeri in Italia cresce e quindi, per i ticinesi, comprare a Como diventa un affare. Una manna, per i commercianti comaschi, una iattura per i colleghi di Chiasso e Lugano.
E’ passato un anno. E il bilancio di un anno di parità tra franco ed euro non è positivo, secondo quanto riportato nelle pagine economiche del quotidiano La Repubblica. <Pur essendo costata una fortuna quantificabile in centinaia di miliardi, quella sorta di “linea del Piave” del cambio fisso aveva difeso l’economia svizzera>, si legge nell’approfondimento di Franco Zantonelli.
L’abbandono della parità franco-euro ha avuto pesanti conseguenze sull’economia svizzera. In primis, sul mercato del lavoro: in un anno la disoccupazione è cresciuta del 7,6%.
La moneta forte mette poi in ginocchio le aziende che esportano. Basti pensare al settore svizzero dell’orologeria, con colossi che hanno perso percentuali di utile a doppia cifra.
Anno a dir poco difficile anche per la Banca Nazionale Svizzera che – come riporta Repubblica – ha chiuso l’esercizio 2015 con una perdita di 23 miliardi di franchi. Una situazione ben riassunta dal titolo dell’approfondimento: “L’addio alla parità franco euro mette in crisi l’economia svizzera”.
A guadagnarne, indirettamente, è l’Italia, almeno nelle fasce di confine. A Como i posteggi di supermercati e centri commerciali sono pieni di automobili targate Ticino. Per gli svizzeri non è mai stato così conveniente comprare in Italia. Ma la Lombardia e, nello specifico, la provincia di Como, ha bisogno che l’economia ticinese resti in salute. Perché ogni giorno 20mila comaschi passano il confine per andare a lavorare in Svizzera. Nei negozi, nelle aziende, nei cantieri e negli uffici del Ticino. <Per noi è fondamentale che l’economia ticinese giri a regime per mantenere i livelli di occupazione – spiega Carlo Maderna, responsabile dei frontalieri per la Cisl dei Laghi – ora, l’economia svizzera non corre ai ritmi del passato, e negli ultimi tempi ho notato qualche licenziamento in più e un rallentamento nella richiesta di manodopera. Mi auguro sia solamente una fase, un ciclo. Perché in Svizzera le garanzie sul lavoro sono ben diverse rispetto all’Italia. E in una situazione di crisi – conclude il sindacalista – i frontalieri spesso sono i primi a pagare il conto>.