
<Caro presidente, così non va bene>. Mario Lucini, sindaco di Como, apre il computer e scrive una lettera al premier Matteo Renzi. Lucini non è un politico avvezzo a gesti eclatanti, ma in questo caso vuole segnalare con forza al presidente del consiglio una situazione che penalizza i cittadini comaschi.
A livello centrale, a Roma, esiste un fondo di solidarietà: i Comuni benestanti aiutano le amministrazioni economicamente più deboli. Principio giusto, sulla carta, ma che si traduce in cifre difficili da giustificare.
Un esempio, peraltro riportato nella lettera inviata da Lucini a Renzi: nel 2015 Como contribuirà al fondo di solidarietà con poco più di 11 milioni e 200mila euro, ossia 133 euro per abitante. Lo stesso fondo pesa invece sui cittadini di Varese 83 euro all’anno. Quasi il 40% in meno. Varese è vicina a Como e ha caratteristiche storiche, sociali, ed economiche molto simili. Eppure deve contribuire al fondo di solidarietà in misura decisamente minore rispetto a Como.
Anche a Lecco la quota pro-capite è inferiore, pur di poco (128,5 euro), mentre i monzesi contribuiscono con 104,4 euro.
In altre parole: il Fondo di Solidarietà costa parecchio alla città di Como. La quota pagata dai comaschi è la sesta più alta dei capoluoghi di provincia italiani, secondo un’analisi effettuata proprio dal sindaco Lucini. Nel 2014 Como pagava 8,8 milioni, nel 2015 11,2 milioni. Il sindaco, nella lettera a Renzi, parla di <questione grave e urgente>, che <penalizza notevolmente la città>. Lucini chiede al premier una <sollecita revisione dei criteri di ripartizione inspiegabili>