Quattro dei nove imputati hanno ottenuto una riduzione della pena, ma nel complesso la sentenza d’Appello dell’inchiesta sul presunto controllo della ‘ndrangheta sui locali di Cantù recepisce nella sostanza l’impianto accusatorio e ricalca in buona parte quanto stabilito in Tribunale a Como in primo grado. Confermate, per gli imputati ai quali era stata contestata, l’associazione a delinquere e l’aggravante dei reati commessi con metodi mafiosi.
Se la sentenza di primo grado, con la corte in composizione collegiale, aveva sancito la presenza della ‘ndrangheta a Cantù, anche la terza sezione della Corte d’Appello di Milano lo ha ribadito, pur concedendo qualche riduzione di pena che sarà possibile spiegare una volta che, entro 90 giorni, saranno depositate le motivazioni della sentenza. Quasi scontato poi che ci sarà anche un terzo grado di giudizio.
Giuseppe Morabito, l’imputato al quale la corte di Como aveva inflitto la pena maggiore, 18 anni, si è visto ridurre la condanna a 13 anni e 9 mesi. Scende da 16 anni e 6 mesi a 14 anni e 7 mesi la pena inflitta a Domenico Staiti e da 16 anni e 4 mesi a 13 anni e 11 mesi quella di Rocco Depretis. Infine, pena ridotta da 7 anni a 5 anni e 7 mesi a Luca Di Bella. Confermate le pene agli altri cinque imputati, Jacopo Duzioni 7 anni e 8 mesi; Antonio Manno 9 anni e 8 mesi, Andrea Scordo 7 anni e 8 mesi, Valerio Torzillo 9 anni e 8 mesi; Emanuele Zuccarello 8 anni e 8 mesi.
L’inchiesta era stata coordinata dal pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia Sara Ombra e aveva compreso una serie di episodi accaduti nel cuore della Città del Mobile nei mesi successivi alla gambizzazione, il 10 ottobre del 2015, di Ludovico Muscatello, nipote del boss Salvatore. Tra gli episodi finiti al centro del processo, una bottiglia incendiaria lasciata davanti a un bar, un proiettile sul tetto dell’auto del titolare di un locale, alcuni violenti pestaggi, estorsioni.