Le case di riposo rappresentano uno dei fronti più a rischio in questa emergenza. E dopo la notizia arrivata nelle scorse ore che segnala la presenza di 45 pazienti positivi nella struttura Villa San Benedetto Menni di Albese con Cassano, anche in città la situazione si fa sempre più complicata. «Purtroppo alle Camelie, dopo il primo caso di due settimane fa di un anziano positivo che è poi mancato, ci sono stati altri 12 decessi”. A parlare è il presidente della Fondazione Ca’ d’Industria, Gianmarco Beccalli, che gestisce quattro strutture a Como. “Ma la cosa più preoccupante – dice – è che non sappiamo se sono deceduti per Coronavirus o per altre patologie. A nessuno è infatti stato possibile fare il tampone, vista la scarsa disponibilità e il fatto che non avevano sintomi certi».
Una situazione dunque per certi versi paradossale. «Anche ora, trattandosi di persone anziane, abbiamo ospiti con la febbre ma ovviamente non possiamo inviarli negli ospedali solo per questo sintomo e quindi non possiamo che mettere in essere tutti i protocolli previsti all’interno delle strutture. – dice Beccalli – Per quelle persone che hanno sintomi più evidenti rispetto a una semplice febbre, pur in assenza di tampone, disponiamo di camere attrezzate dove li curiamo e li monitoriamo. Alcuni sono guariti, ma come facciamo a sapere di cosa si è trattato? Lo stesso vale per il personale sanitario per il quale ci vorrebbe un monitoraggio costante che non avviene».
Nei giorni scorsi il sindaco di Como, proprio per far fronte alle numerose richieste arrivate dalle Rsa, ha chiesto un ulteriore intervento, in termini di dotazioni, a Regione Lombardia. «Nel frattempo siamo riusciti a recuperare delle mascherine che arriveranno entro fine settimana. Mancano invece ancora i camici. – dice il presidente – Non abbiamo situazioni a rischio nelle residenze di via Brambilla e di Rebbio. A Villa Celesia invece due pazienti negli ultimi giorni sono purtroppo morti. Anche in questo caso c’è incertezza sulla reale natura del decesso. – conclude Beccalli – In certi casi parte del personale si ferma a dormire nella struttura per non esporre i pazienti e altre persone al rischio contagio».