Il naso e la statura. Passa da queste due caratteristiche fisiche l’autodifesa di Giuseppe Calabrò, uno dei tre imputati nel processo per il sequestro e l’omicidio, nel 1975 di Cristina Mazzotti, rapita a 18 anni sulla strada per Eupilio e morta nella prigionia. “Guardatemi – dice davanti alla Corte d’Assise di Como – Il mio naso non corrisponde a quello descritto dal fidanzato e dall’amica della ragazza. E anche la mia altezza, 1,67, è incompatibile con quella del rapitore”.
Calabrò è sul banco degli imputati con Antonio Talia e Demetrio Latella. Dei tre, è l’unico che ha deciso di parlare in aula. Anziché sottoporsi all’esame, come sembrava intenzionato a fare, ha invece deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee. Nell’udienza di oggi, ha parlato davanti alla Corte leggendo un testo preparato in precedenza, ma senza rispondere ad alcuna domanda. Un intervento nel quale ha spiegato i suoi spostamenti nel 1975 e ha ribadito di non aver partecipato al sequestro di Cristina Mazzotti.
La difesa
All’epoca del sequestro, questa in sintesi la tesi difensiva, Giuseppe Calabrò – accusato di essere tra i componenti della banda di sequestratori che ha bloccato l’auto sulla quale viaggiava Cristina e di essersi seduto davanti, accanto al guidatore – non era in Lombardia. Le sue caratteristiche fisiche inoltre non corrisponderebbero a quelle del rapitore e sulla vettura non sono state repertate le sue impronte. Parlando in aula, ha infine fatto riferimento agli altri imputati nel processo di Como.
Le prossime tappe
Il processo riprenderà il 28 maggio prossimo. La sentenza è attesa probabilmente dopo l’estate.