Notte di tensione, rabbia e fiamme al Corvetto, quartiere alla periferia sudorientale di Milano, interessato – fin dagli anni Venti del Novecento – da un’intensa attività edilizia da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari. Da sempre, nella zona abitano cittadini che dal Sud hanno deciso di cambiare vita e trasferirsi per cercare lavoro. Negli ultimi anni, invece, il fenomeno dell’immigrazione straniera si fa sentire con forza.
È in questo contesto che si colloca la morte di Ramy Elgaml, 19enne egiziano morto durante un inseguimento con i carabinieri. Il giovane, che amici e parenti descrivono come “un ragazzo tranquillo”, era a bordo di uno scooter guidato da un 22enne tunisino senza patente. I due pare non si siano fermati davanti alla pattuglia, che li ha inseguiti per otto chilometri. Poi, in seguito a una manovra azzardata, i ragazzi sono scivolati e per Ramy non c’è stato nulla da fare. Il 19enne è morto al Policlinico alle 4.04.
Da quel momento, si è sollevata una scia di proteste che – di ora in ora – si è fatta sempre più intensa. Prima un presidio per chiedere giustizia per la morte di Ramy, poi un muro di fiamme: cestini accatastati e incendiati, fumogeni, cori e fuochi d’artificio, fino agli striscioni “Verità per Ramy”. Diciotto ore dopo, lunedì pomeriggio, altri giovani scendono in strada e mettono a ferro e fuoco il quartiere, tra l’ira e la stanchezza dei residenti (sempre più impauriti e costretti, ogni giorno, a fare i conti con ben altri problemi, dal lavoro al carovita).
Ora attenzionate le videocamere di sorveglianza: dall’analisi pare che i due mezzi fossero vicinissimi, ma non ci sia stato alcun contatto. A parlare dell’accaduto è Massimiliano Pirola, segretario provinciale SAP, il sindacato autonomo di polizia.