(ANSA) – ROMA, 25 NOV – "Tutti gli uomini hanno il privilegio di potersi far ascoltare da un altro uomo". A pensarlo è Irene Facheris, formatrice, attivista, scrittrice e podcaster. Da quasi dieci anni è conosciuta sul web come ‘cimdrp’ ed è una delle divulgatrici italiane su temi di uguaglianza di genere e lotta femminista più seguite. La sua ultima avventura è il podcast ‘Tutti gli uomini’, che nasce per aggiungere uno dei tasselli che ancora mancano al femminismo italiano, ovvero la capacità di comunicare al mondo maschile in modo efficace. Dal rapporto con le emozioni alla ‘chat del calcetto’, Facheris ha parlato con 18 uomini che fanno parte della sua vita per far loro dire "cose che potessero ascoltare altri uomini" e far scaturire in loro delle riflessioni. "Non è mai semplice da ascoltare quando qualcuno ti dice che stai sbagliando – spiega all’ANSA – però è più accettabile se lo fa uno che è simile a te, che dice ‘guarda che io ho fatto gli stessi sbagli’". Il ruolo degli uomini nel femminismo per lei dev’essere proprio questo: "sento uomini che si lamentano del fatto che le femministe li lasciano fuori, ma non è che gli spazi femministi devono fare spazio agli uomini – commenta -. Sono gli uomini che devono prendere i propri spazi, che sono la maggior parte, e renderli femministi". Un lavoro complesso. Anche perché molti "son convinti che, siccome loro non hanno mai molestato, stuprato o ucciso nessuna, allora va tutto bene – prosegue – e invece non ci si rende conto di quanto sessismo benevolo, quante micro-aggressioni si facciano quotidianamente nei confronti delle donne". Per Facheris una trasformazione culturale è necessaria anche per l’eliminazione della violenza di genere, di cui oggi si celebra la giornata internazionale: "non penso si possa immaginare di riuscire ad applicare in maniera corretta le leggi che ci sono e, magari, migliorarle se prima non c’è questo cambiamento – continua – non stupisce che non ci sia cultura sul tema perché non ne parliamo mai, non facciamo educazione sentimentale nelle scuole perché abbiamo paura del ‘gender’ e continuiamo a crescere generazioni che non sono preparate a gestire queste cose". (ANSA).