Per convincere il funzionario che doveva valutare la richiesta di finanziamento organizzavano se necessario una messinscena da film: capannone affittato ad hoc, cancelli riverniciati e insegne posizionate per l’occasione, personale pronto a recitare a beneficio dell’ispettore inviato a controllare lo stato della società che chiedeva di poter accedere ai fondi garantiti dallo Stato.
E’ solo l’apice delle attività di quella che, in base a quanto accertato dalla guardia di finanza di Como, era un’associazione per delinquere creata per organizzare frodi ai danni dello Stato. Complessivamente, in sette distinti interventi il sodalizio criminale sarebbe riuscito a ottenere 13,8 milioni di fondi garantiti dallo Stato. Somme di denaro che poi in realtà non venivano restituite, ma finivano sui conti privati dei protagonisti del sistema di frode e utilizzati per spese personali, a partire dall’acquisto di auto di lusso e camper.
L’indagine “Casa di carta”, condotta dal nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Como e coordinata dalla procura di Monza, è sfociata oggi nell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare per 17 indagati, sette portati in carcere, altrettanti ai domiciliari e 5 sottoposti all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tra gli arrestati anche il fratello di un noto magistrato, sospettato di essere l’anello di congiunzione tra l’organizzazione criminale e l’istituto di credito per l’erogazione dei finanziamenti. In carcere anche il presunto promotore della frode, residente a Lecco e già accusato di truffe in passato.
Proprio i controlli, lo scorso anno, su un’operazione sospetta individuata dai finanzieri di Como ha dato il via all’indagine sfociata nell’operazione di oggi.
L’organizzazione, secondo quanto ricostruito dalla finanza, individuava società sane attive da tempo, prendeva il controllo acquistando quote tramite prestanomi di fiducia, effettuava un “maquillage contabile” che serviva poi per chiedere i finanziamenti garantiti dallo Stato. Della pratica si occupava il mediatore compiacente, che figura tra gli arrestati e avrebbe incassato una percentuale sui fondi erogati. Ottenute le somme richieste, i soldi venivano in parte spesi e in parte drenati sui conti degli indagati. I conti delle società venivano così svuotati e i prestiti ottenuti mai restituiti. Contestualmente agli arresti, la guardia di finanza ha sequestrato beni per 13,8 milioni di euro riconducibili agli indagati. Le accuse sono a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, riciclaggio e autoriciclaggio.