Seconda udienza oggi in Corte d’Assise a Como nel nuovo processo per il sequestro sfociato in un omicidio di Cristina Mazzotti, rapita a 18 anni la sera del primo luglio 1975 mentre rientrava a casa nella villa di famiglia, a Eupilio, e trovata senza vita due mesi dopo in una discarica a Galliate, in provincia di Novara. Tredici persone sono state già condannate, ma a distanza di quasi mezzo secolo si è aperto un altro capitolo.
A processo i presunti ideatore ed esecutori materiali del rapimento. Sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio, in concorso, aggravato dalla crudeltà, dai motivi abbietti, dalla minorata difesa della vittima. Queste le accuse contestate ai quattro imputati, tutti legati alla ‘ndrangheta, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, anche oggi presenti in aula come già alla prima udienza, Giuseppe Morabito e Demetrio Latella, assenti rappresentati dai loro legali
In aula oggi i primi testimoni chiamati dall’accusa, rappresentata dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Milano Cecilia Vassena. L’ispettore della polizia di Stato Marco Perla, della direzione centrale della polizia scientifica, ha ricostruito gli accertamenti che, nel 2006, hanno portato all’identificazione dell’impronta digitale repertata nel 1975 sull’auto sulla quale viaggiava Cristina quando è stata rapita e fino ad allora non abbinata ad alcun nome. L’utilizzo della nuova banca dati Afis delle forze dell’ordine ha permesso di associare l’impronta rilevata nel 1975 a quella di Demetrio Latella, tra gli imputati del processo in Corte d’Assise a Como.
In aula come testimone anche il commissario della polizia di Stato Roberto Bellasio, che nel 2006, in servizio alla squadra mobile di Como, ha lavorato sulla relazione sull’impronta e ha poi definito la comunicazione di reato notificata a Latella. La scoperta dell’impronta di uno dei presunti rapitori di Cristina Mazzotti ha permesso poi di arrivare alla riapertura del caso e al nuovo processo che si celebra oggi a Como.