In Corte d’Assise a Como al via oggi un nuovo processo per il sequestro sfociato in un omicidio di Cristina Mazzotti, rapita a 18 anni la sera del primo luglio 1975 mentre rientrava a casa nella villa di famiglia, a Eupilio, e trovata senza vita due mesi dopo in una discarica a Galliate, in provincia di Novara. Tredici persone sono state già condannate, ma a distanza di quasi mezzo secolo si apre un altro capitolo. Sul banco degli imputati ora ci presunti ideatore ed esecutori materiali del rapimento.
Cristina è stata la prima donna rapita nella stagione drammatica dei sequestri. Una vicenda che aveva sconvolto l’Italia. Due mesi con il fiato sospeso, fino all’epilogo più tragico. La ragazza era stata segregata in una buca senza sufficiente aereazione e possibilità di deambulazione. Alla 18enne erano state inoltre somministrate massicce dosi di tranquillanti ed eccitanti. Questo aveva causato la morte di Cristina, che non era più tornata a casa nonostante il padre avesse pagato un riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire ai rapitori della figlia.
Un primo processo si concluse a Novara con 13 condanne di cui otto ergastoli a carico di fiancheggiatori ma non degli esecutori materiali. Nel 2007 un’altra inchiesta grazie a nuove analisi di un’impronta digitale. Il fascicolo fu archiviato nel 2012. Ora la nuova tappa, grazie alla determinazione di Fabio Repici, già avvocato della famiglia Mazzotti.
A processo, in Corte d’Assise a Como, il boss 80enne della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, Giuseppe Calabrò, 74 anni, detto U’ Dutturicchiu e i presunti autori del sequestro, Antonio Talia, 73 anni e Demetrio Latella, 70 anni. Il fratello e la sorella della 18enne rapita e uccisa saranno parte civile.