(ANSA) – GENOVA, 06 SET – E’ stato identificato il camionista che il 15 luglio scorso, nell’autoporto di Ventimiglia, era stato ripreso in video mentre colpiva con una cinghia alcune migranti sorprese all’interno del vano di carico del suo autoarticolato in sosta. I dati anagrafici del camionista insieme all’esito di tutti gli accertamenti compiuti per tramite dell’Interpol e dell’analisi delle immagini video acquisite, sono stati consegnati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Imperia. Sono in corso di valutazione le sue specifiche responsabilità penali e le relative condizioni di procedibilità. Nel corso delle indagini si è appreso che erano state le stesse migranti ad attirare l’attenzione del conducente perché esauste dopo avere trascorso tutta la notte all’interno del rimorchio in attesa della partenza. È stato verificato inoltre che l’uomo, 57 anni, era in procinto di partire, ma non era diretto in Francia bensì in Bulgaria, per il viaggio di ritorno, dopo essere già stato in Spagna. Dagli accertamenti svolti all’estero dal Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia l’uomo risulta essersi già licenziato dall’azienda bulgara di cui era dipendente al momento del fatto. Il video, subito diffuso in rete, aveva suscitato scalpore e sdegno in tutta Italia e all’estero, ma il suo autore aveva omesso di allertare immediatamente le forze dell’ordine vanificando così la possibilità di rintracciare, identificare e procedere penalmente, nell’immediatezza, contro il responsabile. Per questo motivo le indagini della Polizia si sono complicate e prolungate con attività svolte anche all’estero, comunque concluse con esito positivo. E’ stata decisiva, al fine dell’identificazione del camionista, l’attività svolta dagli investigatori del Commissariato di Ventimiglia che, malgrado il video postato su i social non mettesse a fuoco la targa, sono riusciti con tecniche investigative innovative, a decifrarla. A essere colpite erano state undici giovani donne, due delle quali in stato di gravidanza che, intimorite e stremate, si erano poi rifugiate nel Pad della Caritas, dove avevano raccontato quanto subito a un mediatore culturale. (ANSA).