(ANSA) – ROMA, 29 LUG – Gianfranco Fini "fornì" e "risulta provato" il "proprio contributo nell’operazione di riciclaggio relativa ai trasferimenti di denaro finalizzati all’acquisto dell’appartamento di Montecarlo, consistito, come contestato, nell’aver autorizzato la vendita della casa di Montecarlo ‘proposta da Giancarlo Tuliani’ "nella consapevolezza dell’incongruità del presso rispetto al valore di mercato e a favore della società offshore dei congiunti". È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui i giudici del Tribunale di Roma hanno condannato, il 30 aprile scorso, l’ex presidente della Camera a due anni e otto mesi per l’accusa di riciclaggio nella vicenda legata alla vendita della casa di Montecarlo. I giudici affermano che "è risultato con certezza che Fini nel 2008 si adoperò per introdurre il ‘cognato’ (Giancarlo Tulliani ndr) in ambienti dai quali potesse trarre fonti di guadagno. Tulliani infatti era privo di un solido profilo professionale e le società che a lui facevano capo, compresa la Wind Rose presieduta dal padre Sergio Tulliani, non erano più attive o erano state volontariamente liquidate". Nel ricostruire la vicenda il tribunale aggiunge che "nello stesso arco di tempo, su insistenza di Giancarlo Tulliani e della sorella, Fini si determinò a vendere l’appartamento di boulevard Princesse Charlotte, 14 in Montecarlo, che il partito aveva ricevuto in eredità dalla contessa Colleoni, nonostante la decisione contraria assunta in precedenza dal partito. Ciò accadde per le insistenze dei due fratelli, come precisato dallo stesso Fini". Nelle motivazioni si afferma che "risulta quindi che Fini autorizzò la vendita della casa di boulevard Princesse Charlotte, 14 in Montecarlo proprio perché il ‘cognato’ era interessato all’acquisto. Risulta altresì che, contrariamente a quanto aveva fatto in occasione dell’acquisizione dell’immobile, lasciando al senatore Pontone completa autonomia, in occasione della vendita Fini gesti personalmente le trattative fisando il prezzo in 300.000 euro". L’ex presidente della Camera "infatti era ben consapevole che il ‘cognato’ aveva un forte interesse nell’affare" e per questo, scrivono i giudici, "deve rispondere di tale segmento di condotta del riciclaggio". Per il tribunale il procedimento "non ha invece fornito alcun riscontro all’ipotesi accusatoria secondo cui il contributo materiale" dell’ex presidente della Camera "sarebbe consistito altresi nello stringere intesa con Francesco Corallo e nel favorire l’instaurazione e la prosecuzione di rapporti finanziari tra costui ed i membri della famiglia Tulliani". (ANSA).