(ANSA) – CAGLIARI, 06 APR – "La prigione è anzitutto una pena corporale, non è un semplice divieto posto alla libertà di circolare, come si è provato a dimostrare fin qui. Pena corporale perché il suo scopo è quello di spezzare la personalità, in questo non facendo che seguire con altri mezzi il cammino segnato dalla tortura". Inizia così il post pubblicato su Facebook dal medico anestesista sardo Tomaso Cocco, primario del reparto di Terapia del dolore dell’ospedale Binaghi di Cagliari, tornato in libertà il 21 marzo scorso dopo essere stato in carcere a Cagliari, a Palermo e poi ai domiciliari dal 27 settembre scorso, giorno dell’arresto nell’ambito dell’inchiesta "Monte Nuovo", della Dda di Cagliari, su una presunta associazione criminale della quale avrebbero fatto parte colletti bianchi ed esponenti della criminalità del Nuorese. "Posso dire però – scrive il primario – che la reclusione è organizzata come se volesse farci dimenticare che abbiamo un corpo. Il corpo reso muto è un corpo da dimenticare. Il corpo ignorato smette però di reagire come un animale domestico. E l’animale in gabbia rivela, anche se sembrava domestico, caratteristiche fino ad allora poco conosciute. La prima scoperta da farsi è che il corpo ignorato non produce vuoto ma dolore: dolore fisico. Il dolore è una reazione all’ignoranza del corpo, serve a ricordarci che siamo un corpo. E’ l’aspetto assunto dal senso della realtà, criterio di verità che prova ad ancorare la mente al mondo, dicendoci che ne siamo parte. E’ la parola dei muti ai quali non è consentito il gesto", conclude Cocco. (ANSA).