“Giorno di giubilo”, inizia così l’omelia del cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como, nel solenne pontificale di Pasqua in Duomo. La celebrazione è stata trasmessa in diretta su Etv, arrivando così direttamente nelle case di quanti non hanno potuto recarsi in Cattedrale. (Riascolta qui le parole del cardinale).
“Nella risurrezione di Gesù il Padre proclama che la vita di Cristo, spesa nel dono totale di sé, riporta il segno della vittoria – aggiunge poco dopo – La vita donata agli altri, fino alla morte, vissuta in una piena solidarietà con i fratelli, non sono la fine di tutto, ma il germe di una vita nuova, di una vita redenta. Lo spiega la parabola del seme di frumento: ‘Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore rimane molto frutto’ “.
Il vescovo poi ripercorre il vangelo il vangelo di questa mattina e chiude ricordando che i discepoli arrivati al sepolcro capirono che “il futuro Messia avrebbe dovuto soffrire molto, per poi vivere una vita nuova”.
L’omelia del cardinale Cantoni
Giorno di grande giubilo per tutti gli amici di Gesù, risorto da morte. Lo acclamiamo nostro Dio e Signore, che ci ha amato e ha dato tutto sé stesso per noi.
Nella risurrezione di Gesù il Padre proclama che la vita di Cristo, spesa nel dono totale di sé, riporta il segno della vittoria: la vita donata agli altri, fino alla morte, vissuta in una piena solidarietà con i fratelli, non sono la fine di tutto, ma il germe di una vita nuova, di una vita redenta. Lo spiega la parabola del seme di frumento: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Nel suo sacrificio pasquale, Gesù ha vissuto in pienezza l’obbedienza a Dio padre e ha testimoniato la sua fiducia in Lui, affrontando lo scontro con il peccato del mondo, il male e la morte. Come canta una strofa della Sequenza “alla Vittima pasquale”, che abbiamo ascoltato prima dell’annuncio del Vangelo: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”.
La croce del Signore diventa non solo lo strumento attraverso cui Gesù manifesta in pieno la sua confidenza nei confronti del Padre, ma anche rivela l’amore totale di Dio verso l’umanità, che riceve il perdono e speranza di vita oltre la sofferenza e la morte. Donandosi sulla croce, Gesù invita ogni suo discepolo a seguirlo, vivendo come Lui, in piena fiducia e amore filiale nei confronti di Dio Padre.
I diversi racconti pasquali, registrati nei vangeli, come riferisce Pietro nel suo discorso, negli Atti degli Apostoli, sono espressione del desiderio di Gesù che volle manifestarsi “non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. Gesù risorto si presenta per ricostruire una serie di rapporti con singole persone, con gruppi di discepoli, per donare a tutti la forza della sua risurrezione. E tra quanti Gesù incontra ci siamo anche noi. Egli ci viene incontro oggi, qui, nell’ambito della nostra comunità ecclesiale.
Tra i diversi incontri di Gesù risorto, questa mattina il vangelo ci ha presentato quello con Maria di Magdala, e quindi con i discepoli Pietro e Giovanni. Maria di Magdala è la discepola presente sotto la croce con Maria e Giovanni, una donna da cui Gesù aveva liberato da sette demoni!
Secondo il vangelo di Giovanni, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio, per rendere a Gesù un ultimo, estremo servizio d’amore. Ella, giunta al sepolcro, scopre con grande stupore che la pietra del sepolcro era stata rimossa e così presume che qualcuno deve aver trafugato il corpo del Signore. È del tutto prigioniera di una logica umana.
La donna, quindi, fugge vie di corsa dal sepolcro per avvisare dell’accaduto i suoi discepoli: “hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno posto”. In seguito, Maria di Magdala sarà sopraffatta dalla chiamata personale e dalla rivelazione del Risorto, che la invierà dai suoi apostoli per trasmettere loro un messaggio preciso, così che sarà chiamata dalla tradizione orientale “apostola degli Apostoli”.
Ed ecco che Pietro e Giovanni si recano in tutta fretta al sepolcro per verificare l’accaduto. Il discepolo che Gesù amava corre avanti, più veloce di Pietro, ma poi lo aspetta rispettosamente davanti all’ingresso e lo lascia entrare per primo. Pietro, quindi, entra nel sepolcro ed esamina attentamente ogni cosa. Le bende e il sudario nei quali era avvolto il corpo di Gesù non erano gettati per terra alla rinfusa, ma deposti con ordine, un indizio che di per sé sembra smentire la diceria di un frettoloso trafugamento del cadavere. Già Giovanni, prima di entrare, aveva intravisto i teli posati. Non è ancora lo sguardo della fede. L’idea della risurrezione è ancora lontana.
La tomba vuota non è una prova diretta della risurrezione di Gesù. Ora entra nel sepolcro anche l’altro discepolo e di lui si dice che “vide e credette”. Il discepolo amato, con il suo sguardo penetrante, sa vedere il significato nascosto di ciò che appare solo materialmente. Non vede il Risorto, ma la traccia visibile della risurrezione, che resta un evento del tutto invisibile. Gli ritornano in mente le parole della Scrittura, più volte ricordate dal Maestro, e che solo ora comprende: ossia che il futuro Messia avrebbe dovuto soffrire molto, per poi vivere una vita nuova.
Uniamoci anche noi alla gioia dei primi discepoli del Signore Gesù, ringraziamolo per il dono che ci concede: ci rende figli del Padre, “figli nel Figlio”, quindi fratelli tra di noi e ci apre alla potenza rinnovatrice dello Spirito Santo. È il messaggio che Gesù risorto annuncerà a Maria di Magdala, che poi ella trasmetterà ai discepoli: Vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
Ieri sera la veglia pasquale
Durante la Veglia pasquale il vescovo ha celebrato i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana per gli adulti, eletti ai Sacramenti pasquali: il Battesimo, la Confermazione e l’Eucarestia. Quest’anno gli eletti erano tre e si chiamano Federico, originario del Perù, della parrocchia “Sant’Agata” di Como; Miri, nato in Albania e ora nella parrocchia “Santo Stefano” a Cernobbio; Federico, dalla parrocchia “Sant’Abbondio” di San Siro.
Nella notte di Pasqua il cardinale ha ribadito: “Abbiamo tanto bisogno della luce della fede che rischiari l’oscurità, le tenebre del cuore, ma anche che irradi il suo fulgore nella drammaticità della situazione che stiamo vivendo a livello mondiale, che tanto ci preoccupa e ci avvilisce. Sì, noi lo crediamo: Il Cristo, vincitore del peccato e della morte, ha già vinto ogni ostilità e non permetterà che il male prevalga. Perciò, in questa notte santa, fa nuovamente irruzione nella santa assemblea, per darci coraggio, per irrobustire la nostra fede, così che ciascuno di noi possa comunicare missionariamente agli altri quella stessa la luce che ha ricevuto in dono”.
“La fede non è un dato da conoscere solo razionalmente, ma una grazia da sperimentare e da condividere, trasmessa da persona a persona”. Ha aggiunto nel ricordare il percorso del tre adulti eletti ai Sacramenti pasquali.