Il Comune di Cantù nega l’utilizzo del capannone di via Milano per la celebrazione del mese sacro del Ramadan. L’Associazione Assalam presenta un ricorso al Tar. Il Tribunale amministrativo della Lombardia accoglie l’istanza e concede l’utilizzo dell’immobile degli islamici per la preghiera.
Un copione che si ripete pressoché identico da anni nel braccio di ferro infinito tra il Comune di Cantù e l’Associazione Assalam per l’utilizzo del capannone di via Milano. “Tar e Consiglio di Stato hanno stabilito che il capannone di via Milano non può essere un luogo di culto ed è singolare che lo stesso Tar continui a consentire la preghiera”, commenta il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni.
Il Tar
“Per la quinta volta il Tar di Milano, con un decreto cautelare ha concesso la possibilità di utilizzare l’immobile per la celebrazione del Ramadan dopo che per la quinta volta il Comune ha negato il permesso – sottolinea Vincenzo Latoracca, legale dell’Associazione Assalam – Il Tribunale amministrativo ha ribadito che il diniego è illegittimo perché prevale il diritto di culto, ma l’amministrazione continua a negarlo”.
Il Tar consente l’uso temporaneo della struttura per la preghiera, in concomitanza con il mese sacro e nel rispetto di regole in particolare sulla capienza e sulla sicurezza. “Le regole sono le stesse degli anni scorsi e l’associazione le ha sempre rispettate – aggiunge Latorraca – Nonostante questo per la quinta volta è stato negato il diritto di culto a prescindere”.
Il sindaco
“Il Consiglio di Stato nel 2021 ha dichiarato in via definitiva che l’utilizzo come luogo di culto non è compatibile con la destinazione produttiva del capannone di via Milano – replica il sindaco di Cantù Alice Galbiati – Il diniego del Comune è la logica conseguenza”. “Non concordiamo con la posizione espressa dal Tar nel decreto ma rispettiamo la pronuncia – aggiunge Galbiati – Verificheremo il rispetto delle condizioni di sicurezza e di tutela della salute pubblica e saremo pronti ad assumere provvedimenti laddove dovessimo riscontrare violazioni”.
Il sottosegretario all’Interno
“Fino a quando le comunità islamiche non sottoscriveranno le intese con lo Stato italiano, che significa accettare diritti e doveri, nulla è dovuto per i luoghi di culto – dice il sottosegretario Molteni – La libertà di culto, che deve essere garantita, non richiedere necessariamente la concessione di un luogo di culto. In quel capannone non si può pregare ed è quindi una moschea abusiva, è singolare che un decreto preveda che si possa pregare laddove è illegale farlo”.