(ANSA) – WASHINGTON, 14 FEB – L’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Hans Grungberg, ha chiesto un’azione "immediata" per porre fine al "pericoloso ciclo di escalation" nello Yemen, in un contesto di "sabbie mobili" legato in particolare agli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso. Il Paese sta vivendo una pausa da quando una tregua negoziata nell’aprile 2022 dalle Nazioni Unite è ufficialmente scaduta. Ma nel contesto della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, gli Houthi hanno effettuato decine di attacchi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden contro navi che considerano legate a Israele, affermando di agire in solidarietà con i palestinesi. In risposta, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno effettuato diversi attacchi nello Yemen contro gli Houthi, che controllano gran parte del territorio di questo Paese dilaniato dalla guerra per quasi un decennio. In queste circostanze, e nonostante i progressi compiuti a dicembre verso un nuovo cessate il fuoco tra i ribelli Houthi e il governo yemenita, "la strada verso la pace incontra più ostacoli", ha messo in guardia Hans Grungberg durante una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, invitando a "creare una via d’uscita da questo pericoloso ciclo di escalation". A tal fine, "in primo luogo, abbiamo bisogno di una de-escalation regionale", ha osservato, ribadendo il ripetuto appello del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres per un cessate il fuoco umanitario immediato a Gaza, importante anche per "proteggere lo spazio di mediazione nello Yemen". "In secondo luogo, i partiti yemeniti devono fermare le provocazioni pubbliche e astenersi da qualsiasi opportunismo militare all’interno dello Yemen in questo momento delicato", ha aggiunto, stimando che un’escalation sarebbe "una scelta" che comporterebbe "un prezzo" per la popolazione già in ginocchio. "Durante i miei ultimi scambi ho ricevuto assicurazioni che tutti i partiti preferiscono la via della pace", ha osservato Grundberg, notando però segnali preoccupanti su diversi fronti e l’aumento delle "minacce pubbliche di riprendere i combattimenti". (ANSA).