Olindo Romano e Rosa Bazzi, ma anche i familiari delle vittime, costretti di nuovo a fare i conti con una ferita che non si chiude mai. In aula, in Tribunale a Brescia, il prossimo primo marzo potrebbero trovarsi di nuovo faccia a faccia i coniugi condannati all’ergastolo per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006 e i parenti di Raffaella Castagna, Youssef Marzouk, Paola Galli, Valeria Cherubini e Mario Frigerio.
Il decreto di citazione
La Corte d’Appello di Brescia ha notificato il decreto di citazione a Olindo Romano, attualmente detenuto nel carcere di Opera e a Rosa Bazzi, rinchiusa nel penitenziario di Bollate. I coniugi saranno difesi dagli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello.
Il decreto di citazione è stato trasmesso poi alle parti civili, i parenti delle vittime del massacro dell’11 dicembre 2006. Tutti potrebbero trovarsi nuovamente insieme in un’aula di tribunale. Il documento è stato trasmesso a Elena e Andrea Frigerio, figli di Mario e di Valeria Cherubini e a Pietro e Giuseppe Castagna, fratelli di Raffaella, figli di Paola Galli e zii del piccolo Youssef. Parte civile nel procedimento infine Azouz Marzouk, il marito di Raffaella e papà di Youssef, con altri familiari.
In tutti i casi, i familiari potranno decidere se partecipare o meno all’udienza e potranno farsi rappresentare eventualmente da un legale. La famiglia Castagna, tramite il legale Massimo Campa ha ribadito che la sentenza corretta, per loro è quella del tribunale di Como e che non ci sono altre verità. Una linea che è sempre stata tenuta anche dai figli di Mario Frigerio. Diversa la posizione di Azouz Marzouk che, dopo aver sostenuto a lungo la colpevolezza di Olindo Romano e Rosa Bazzi, ha cambiato idea e si è schierato con gli innocentisti.
La decisione
Tutti dovranno ora decidere se tornare ancora una volta in aula per riaprire una ferita mai chiusa e incrociare di nuovo gli occhi di Olindo Romano e Rosa Bazzi oppure se evitare di prendere parte personalmente all’ennesimo capitolo di una vicenda per la quale, dopo 17 anni, non si riesce a scrivere l’ultima parola.