(ANSA) – TRIESTE, 24 OTT – "Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale. Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto piuttosto il prendersi cura della persona malata": lo scrivono i vescovi e la Commissione regionale per la pastorale della salute della Conferenza episcopale Triveneto nella nota "Suicidio assistito o malati assistiti?". Di fronte a un argomento "spesso sbandierato come un’acquisizione di diritto e ideologicamente salutato come una conquista di libertà" le Chiese del Nordest intendono "contribuire a una riflessione che permetta a tutti e reciprocamente di approssimarsi a una verità pienamente al servizio della persona". La nota fa poi riferimento al quadro giuridico e legislativo e rileva: "Si rimane molto perplessi di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie. Destano anche preoccupazione i pronunciamenti di singoli magistrati che tentano di riempire spazi lasciati vuoti dal legislatore". Secondo la nota, spetta piuttosto alle Regioni "favorire luoghi di confronto e deliberazione etica" e "promuovere politiche sanitarie che favoriscano la diffusione della conoscenza e l’uso delle cure palliative, la formazione adeguata del personale, la presenza e l’azione di hospice dove la persona malata in fase terminale trovi un accompagnamento pieno, cosicché sia alleviato il dolore e lenita la sofferenza". (ANSA).