(ANSA) – TOKYO, 26 AGO – l divieto deciso dalla Cina sulle importazioni dei prodotti ittici provenienti dal Giappone costringe il governo di Tokyo a studiare ulteriori misure per sostenere l’industria della pesca del Paese, la cui reputazione è già fortemente penalizzata nell’immaginario collettivo. Subito dopo l’avvio delle operazioni per il rilascio dell’acqua contaminata, nella giornata di giovedì le autorità doganali cinesi hanno annunciato la sospensione totale del commercio, sorprendendo i produttori del Sol Levante. Nel 2022 le esportazioni di prodotti marini verso Pechino hanno raggiunto un valore di 160 miliardi di yen, pari a poco più di 1 miliardo di euro, pari al 40% circa del totale delle spedizioni estere in termini di valore. L’industria delle capesante è uno dei settori più a rischio, secondo un’indagine governativa, perché attraverso canali di lavorazione nella stessa Cina i pesci vengono esportati verso paesi terzi, inclusi gli Stati Uniti. A questo riguardo il governo di Tokyo sta valutando modi per creare strutture di produzione in Giappone e stabilire nuovi canali di vendita. Un fondo del valore di oltre mezzo miliardo di euro è stato approvato per affrontare i danni all’immagine causati dal rilascio delle acque; i fondi, tuttavia, non coprono al momento le imprese che operano nei processi di trasformazione dell’industria della pesca. La società di ricerca Teikoku Databank stima che almeno 727 aziende giapponesi che esportano prodotti ittici in Cina, direttamente o indirettamente, saranno colpite dal recente divieto. Oltre la metà di queste generavano fino alla metà del proprio fatturato in Cina, mentre 164 erano principalmente impegnate nella trasformazione o vendita di prodotti ittici verso il Paese vicino. (ANSA).