Si attendono ancora i numeri ufficiali del saldo tra chiusure e aperture di negozi e imprese nel 2022 a Como, ma il quadro è già piuttosto chiaro. “I rincari energetici hanno dato un altro colpo di grazia ai commercianti dopo quello inferto dalla pandemia – dichiara Marco Galimberti, presidente della Camera di commercio Como Lecco – Gli imprenditori hanno cercato di reagire nonostante le difficoltà, ma c’è qualcuno che già aveva intenzione di chiudere e che lo ha fatto perché non è più riuscito a gestire l’economia aziendale a fronte dei rincari, che hanno visto aumentare le bollette anche del 50%. I fatturati però sono sempre quelli e ritoccare i prezzi diventa difficile, soprattutto all’interno delle filiere”.
A preoccupare è anche lo scenario geopolitico internazionale. “La speranza è che si arrivi a un minimo di normalità e alla fine della guerra in Ucraina, – dice Galimberti – che porta soltanto incertezza e preoccupazione negli imprenditori e nei consumatori”.
Tutti i settori stanno risentendo della situazione, soprattutto i più energivori come quello manifatturiero. E diventa sempre più evidente la difficoltà dei piccoli negozianti, tanto che si parla di desertificazione commerciale. “Purtroppo si tratta di un problema reale – spiega Galimberti – I negozi di vicinato soffrono anche per i cambiamenti in atto. La grande distribuzione fa una concorrenza spietata, a discapito della città stessa. Perché quando si spengono le luci dei negozi, si spegne la vita all’interno delle vie”.
“La desertificazione è un fenomeno silenzioso che sta investendo diverse zone, anche di grande valore commerciale – aggiunge Graziano Monetti, direttore di Confcommercio Como – Le città si spengono e diventano dei dormitori in balìa del degrado. Ci sono comuni comaschi, come Cabiate, dove il fenomeno è rilevante e vede la chiusura di negozi di prima necessità. Qui si sta cercando di rivitalizzare il commercio con diverse iniziative. Anche il capoluogo sta vivendo una trasformazione – continua Monetti – Abbiamo assistito a chiusure importanti di negozi storici a fronte dell’apertura di grandi catene. Così si rischia di perdere l’identità delle città e di appiattire l’offerta commerciale. Si perde il nostro patrimonio, che è la nostra chiave turistica”.