Pene complessive per quasi 230 anni. Tutti condannati i 34 imputati, in gran parte residenti sul territorio comasco, nel processo con giudizio immediato seguito all’inchiesta sfociata nell’operazione “Cavalli di razza”. La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano sancisce ancora una volta la presenza della ‘ndrangheta in provincia di Como.
L’indagine
Nell’elenco dei 34 indagati compaiono, secondo l’accusa, capi e organizzatori e altri che hanno solo il ruolo di “comparsa”. Tutti però, in base a quanto ricostruito dai magistrati della direzione distrettuale antimafia di Milano Pasquale Addesso e Sara Ombra, partecipano a summit di ‘ndrangheta, ricevono doti e si mettono a completa disposizione degli interessi della locale per contribuire alla realizzazione del programma criminoso del gruppo. I sostituti procuratori avevano chiesto pene complessive per un totale di quasi 400 anni. Le accuse, a vario titolo, sono di bancarotta, corruzione, frode fiscale, estorsione, voto di scambio, spaccio, traffico di armi. L’organizzazione, secondo l’accusa si era ramificata anche in Svizzera.
La sentenza
La sentenza pronunciata oggi – complessa al punto tale che il giudice dell’udienza preliminare Lorenza Pasquinelli ha chiesto 90 giorni per le motivazioni – riconosce tutti colpevoli ma riduce in parte le pene. Complessivamente, il computo arriva a 229 anni, da un massimo di 11 anni e 8 mesi fino a un minimo di 2. A questo si aggiungono sanzioni, confische di beni, risarcimenti alle parti civili e pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici.
L’operazione “Cavalli di razza” si è collegata a una precedente indagine della procura di Como che aveva smantellato un presunto sistema di false cooperative. L’accusa contesta agli imputati estorsioni, usura, recupero crediti con modalità intimidatorie ma anche bancarotta, frode fiscale, corruzione, traffico di sostanze stupefacenti. Quindi l’acquisizione del controllo di attività economiche nel settore dei servizi di pulizia e facchinaggio, trasporti conto terzi e bar e ristoranti. Attività poi utilizzate per conseguire per sé e per altri vantaggi ingiusti.
Il magistrato
“Per la prima volta in Lombardia sono state condannate per associazione mafiosa anche due donne – commenta il magistrato della direzione distrettuale antimafia Pasquale Addesso – Il quadro accusatorio è stato integralmente recepito anche nella parte della ‘ndrangheta imprenditrice”.