Lontani, lontanissimi da casa. Ancora impauriti e preoccupati per le sorti della propria terra. A sei mesi dallo scoppio del conflitto, secondo i dati diffusi dalla prefettura, i cittadini ucraini che hanno cercato rifugio in provincia di Como sono 2.680. Tra questi, poco meno della metà (1.113) sono minori.
Il 24 febbraio scorso, all’alba, il leader russo Vladimir Putin ha ordinato l’attacco. Una mossa definita dal Cremlino “operazione militare speciale” per rovesciare il governo di Kiev. L’invasione però è diventata una lunga guerra che tutt’oggi continua, non permettendo alla maggior parte degli ucraini fuggiti di tornare nel proprio paese.
A Como ad esempio, sono state solamente 544 le dichiarazioni di allontanamento. Un numero che però, precisa il viceprefetto aggiunto Diana Sessa, “non lascia pensare tanto ai rientri in Ucraina, quanto piuttosto agli spostamenti verso altre zone, in Italia o all’estero”. L’accoglienza a Como fin dai primi giorni, è stata prevalentemente di carattere privato e quindi fuori dal sistema istituzionale. “Sono 53 i profughi che hanno chiesto e ricevuto ospitalità presso i centri di accoglienza straordinaria” continua Sessa. Gli altri hanno spesso raggiunto amici o parenti. 113 sono state invece complessivamente le persone seguite dalla Caritas di Como e 10 di loro sono ancora ospiti di Casa Nazareth.
I bisogni di chi arriva dalle zone di guerra, non si limitano però a un tetto dove dormire. Per far fronte all’emergenza umanitaria, in città-grazie alla sinergia tra prefettura, comune e associazioni di volontariato, sono stati infatti predisposti servizi e fondi. Solidarietà che non si interromperà fino alla fine del conflitto.