(ANSA) – ROMA, 05 AGO – Il cugino ‘povero’ della tequila è sempre più popolare e sta soppiantando il più nobile distillato non solo in Messico ma nei bar di tutto il mondo. Il suo nome deriva, secondo la versione più accreditata, dall’unione di due antichi vocaboli in lingua Nahuati, di origine azteca: metl, che significa agave, ed ixcalli, forno. E nella patria del mezcal, lo stato di Oaxaca, nel Messico centrale, i produttori sono in allarme. "Credo che questa eccessiva domanda che arriva dai mercati nazionali e internazionali abbia delle conseguenze – spiega Sosima Olivera, che produce mezcal alla Tres Colibries (Tre colibrì) a Villa Sola de Vega, nello stato di Oaxaca -. Se vengono richieste più piante, ovviamente c’è più sfruttamento del territorio, dei paesaggi, della biodiversità, dell’acqua, della legna da ardere. In fondo, tutto diventa lavorare per un mero interesse economico». La parola d’ordine, tra i produttori del Messico centrale, è tradizione: preservare gli insegnamenti dei padri e dei nonni, tramandare il metodo tradizionale, che prevede l’utilizzo della sola parte centrale dell’agave conosciuta come espadin. Alla Tres Colibries il mezcal, da sempre associato a un’idea ‘machista’ sia della produzione che, soprattutto, del consumo, parla invece al femminile. Sosima non è infatti la sola donna a lavorare l’agave Tobala, a selezionarne le ‘pigne’ più valide. Se il lavoro di affumicatura, più pesante e gravoso, è ancora riservato agli uomini, le donne sono in prima fila nella selezione e nel controllo. Preoccupate, più dei colleghi maschi, di dove andrà il mezcal e la sua tradizione. "La nostra preoccupazione per il futuro – dice Graciela Angeles, è cosa accadrà alla diversità biologica che è alla base nel mondo del mezcal: si fanno pochissimi sforzi per conservare queste specie di agave. L’aggravante è che sono piante con un periodo vegetativo molto lungo e di conseguenza i ritmi di produzione non possono essere accelerati". L’agave destinata al mezcal, infatti, viene tagliata e lavorata solo tra i sei e gli otto anni di vita. "La domanda e la nostra principale preoccupazione è: cosa accadrà?", conclude Graciela. (ANSA).