Questa mattina, alle 7.30, una notifica del cellulare mi informava dell’arrivo delle prime foto dell’alluvione a Laglio. Sembravano le stesse foto dell’anno scorso. Identiche. Stesse drammatiche scene. Pazzesco, surreale.
A meno di un anno di distanza, Laglio (e non solo) è stata invasa da fango e sassi dopo una pioggia breve e intensa. Gli abitanti erano – diciamo – arrabbiati, per usare un termine gentile.
Li capisco perfettamente. Da un anno con l’altro non possono subire gli stessi disagi. Disagi e pericoli, perché il fatto che nessuno sia rimasto ferito – o ucciso – è solo grazie al buon Dio che ha guardato giù, per chi ci crede, o alla coincidenza, se preferite. Oltre al fatto che qualcuno è ancora fuori di casa dall’anno scorso.
Al tempo stesso però non voglio scivolare nella demagogia. Men che meno nella speculazione politica, che a cinque giorni dalle elezioni è tentazione di molti. Sarebbe tanto facile quanto inutile sparare nel mucchio. Non asseconderò la caccia al politico, pur sapendo che la mancata cura del territorio, di fatto, è colpa e responsabilità di una classe politica che non brilla per lungimiranza.
Scrive Roberto Pozzi, sindaco di Laglio: “Dalle calamità del 27 luglio e 4 agosto 2021, tutte le procedure, col supporto di una attentissima e competente Regione Lombardia, sono state attivate ma, purtroppo siamo ancora all’approvazione della fase progettuale. Servono normative emergenziali tali da consentire interventi più rapidi e incisivi”.
Il problema quindi è la burocrazia che rallenta gli interventi. L’iter burocratico è (sarebbe) una forma di controllo e garanzia contro sperperi, furberie e improvvisazioni.
Ma qui, è chiaro, l’iter burocratico obbliga a rincorrere gli eventi, piuttosto che anticiparli. Il territorio si sta letteralmente sgretolando. Norme e tempistiche che andavano forse bene vent’anni fa, ora vanno riviste. I temporali non aspettano le approvazioni incrociate. Un’alluvione non rispetta il protocollo. Una frana corre più veloce della burocrazia.
E gli abitanti del lago, col fango alle ginocchia per due volte in meno di un anno, fanno come i francesi nella canzone di Conte: s’incazzano. E hanno ragione.