Venerdì sera Como era bloccata. Il motivo? Due gruppi di teppisti – non tifosi, ma teppisti, perché i tifosi veri sono altro e vanno rispettati – hanno deciso di provare a venire alle mani poco prima della partita tra Como e Cremonese davanti allo Stadio Sinigaglia.
Per me, chi si apposta fuori da uno stadio e cerca di scontrarsi con una tifoseria rivale non è un tifoso. È un teppista. La città, il calcio e lo sport non possono essere ostaggio di un manipolo di teppisti.
Sabato abbiamo aperto – anzi, riaperto – il dibattito sullo stadio in centro a Como, dando voce ai residenti comprensibilmente esasperati da quanto accaduto.
Sui social, dove si alternano riflessioni intelligenti a commenti di una superficialità imbarazzante, si è scatenata la polemica. Come se noi, colpevoli di aver riacceso il dibattito su un problema evidente, volessimo portare lo stadio fuori dalla città.
Lo dico una volta per tutte: il problema non è il Sinigaglia, stadio in una posizione anacronistica ma unica al mondo. Il problema è il manipolo di teppisti di cui prima. Problema non certo solo comasco. Perché se tutte le persone andassero allo stadio per vedere la partita, e non per azzuffarsi, la convivenza tra calcio e città sarebbe molto più pacifica. Non bisognerebbe militarizzare il quartiere ad ogni partita. E invece no. Per colpa di pochi teppisti, ne rimette tutta la città. Ne rimettono soprattutto i tifosi, quelli veri – e ne conosco tanti – che allo stadio vanno per sgolarsi, arrabbiarsi, esultare. Ma non certo per picchiarsi.
A chi dice ai residenti che “dovevano pensarci prima di comprare casa”, che “il Sinigaglia è sempre stato lì”, rispondo che solamente in Italia una rissa da strada viene considerata una logica e accettabile conseguenza della presenza di uno stadio. Ecco: no. Per noi non è accettabile. E non lo è nemmeno per i tifosi – ripeto, quelli veri, genuini – ai quali, quando vanno allo stadio, interessa solamente il calcio. Non altro.
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