Tra le tante espressioni che rischiano – causa abuso – di risultare a dir poco fastidiose, oggi metterei al primo posto i “furbetti del reddito di cittadinanza”.
Tutti noi giornalisti ci siamo cascati. Era un modo accattivante per definire, all’inizio, chi veniva scoperto a percepire il discusso (e discutibile) sussidio di stato. Ora, però, è forse il caso di cancellare questa espressione.
Perché il termine “furbetto” evoca un comportamento perdonabile. Una bagatella. Una marachella.
Qui invece siamo di fronte a tutt’altro.
Le cronache di oggi ci raccontano che questi “furbetti” non sono contribuenti che hanno percepito il sussidio sbagliando o gonfiando i conti di pochi euro. No.
Sono soggetti legati alla criminalità organizzata, persone che giravano in Ferrari (Avellino), che possedevano diciassette automobili e una motocicletta (Taranto), o ancora stranieri che vivevano all’estero e rientravano in Italia una volta al mese per sfilare dalle casse dello Stato il reddito di cittadinanza.
Quindi: furbetti un corno. Anche perché tanto furbi non sono, visto che si sono fatti scoprire. Altro che furbetti. Ci manca solo che soggetti del genere possano ispirare una qualche forma di simpatia legata al vezzeggiativo. Chiamiamoli con il loro nome. Farabutti è poco elegante? Truffatori. Ladri, se preferite. Ma non furbetti.