«Chi ci restituisce un aiuto così? Chi ridà agli italiani e ai missionari in Congo un altro ambasciatore come Luca?»
Per padre Pietro, alla fine, la domanda è questa. Ha trascorso quattordici anni in Congo, tra la gigantesca capitale Kinshasa, 16 milioni di abitanti, e Bukavu, una città molto più piccola, situata nella parte orientale del Paese al quale è molto affezionato. Ha conosciuto guerra, povertà, situazioni estreme. È un prete – ad esempio – che sa come reagire in caso di sparatoria: «Buttarsi a terra, non scappare. O ripararsi dietro lo spigolo di una colonna».
Solamente chi sta in prima linea conosce l’importanza di poter contare su un ambasciatore preparato, appassionato e generoso.
Padre Pietro Rinaldi è un missionario saveriano. Toscano, originario di Lucca, da un anno e mezzo è tornato in Italia. Ora sta in provincia di Como, a Tavernerio, nella casa dei Saveriani.
Ha conosciuto molto bene Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Congo ucciso lunedì in un agguato insieme con il carabiniere Vincenzo Iacovacci.
Un commando di uomini lo ha rapito vicino a Goma, nella parte orientale del paese. La situazione è degenerata in una sparatoria quando sono intervenuti i ranger. Il carabiniere ha perso la vita sul colpo. Luca Attanasio, 43 anni, è morto in seguito ai colpi di arma da fuoco poco dopo in ospedale. «Non doveva essere lì», ripete padre Pietro. Almeno non così, sguarnito, quasi senza scorta. E mentre lo ripete con forza, piange la scomparsa di un uomo che definisce di eccezionale sensibilità.
«Sono un sacerdote, quindi cito il libro del Siracide. Capitolo 44, primo versetto: “Facciamo oggi l’elogio di uomini illustri”. Questo è Luca Attanasio. Ha ricoperto il titolo a lui dovuto: eccellenza. È stato eccellente. Da anni ci sentivamo orfani. Venivamo trattati con sufficienza. Luca è venuto a portare un altro stile. Un’ambasciata brillante. Tutti gli italiani in Congo, i missionari in particolare, si sono sentiti tutelati e ascoltati con interesse. Non era un semplice ambasciatore. Non era un uomo di Stato qualsiasi. Era un fratello».
Un uomo di Stato ucciso in una zona che padre Pietro conosce bene. E definisce molto pericolosa.
«È un’area rossa, incandescente. Nessun congolese dell’Est si avventura facilmente in quelle zone. Non capisco perché gli sia stato dato il permesso di andarci. Lui era molto attento ai bisogni della gente, non era un ascoltatore smemorato. Voleva far visita a posti di sofferenza e ha accettato. Ma non è vero – e mi prendo le mie responsabilità per ciò che dico – che la strada fosse sicura. Non può esserlo, quando viaggi su un fuoristrada bianco con il logo del Programma Alimentare Mondiale in una zona infestata dai ribelli».
«Non doveva andare. O almeno andava protetto. Non aveva un giubbotto antiproiettile, non aveva persone armate davanti o dietro il suo mezzo. Lì non c’è da fare catechesi: se vuoi portare una personalità come un ambasciatore, bisogna proteggerlo – spiega ancora padre Pietro – Gli assalitori forse nemmeno sapevano che c’era l’ambasciatore dentro la macchina. Ma un’auto con europei a bordo significa possibilità economica per i ribelli. Loro hanno teso l’agguato e l’hanno preso. Poi sono arrivati i ranger ed è iniziato il parapiglia. Ecco l’altro dramma: in questo caso è forse meglio buttarsi a terra e far fuggire gli altri. Ma son riflessioni che facciamo ora, tavolino. In una situazione simile probabilmente anche noi missionari saremmo scappati».
La speranza e la convinzione di padre Pietro è che Luca Attanasio non sia morto invano. Gli italiani in Congo, i missionari hanno subito una grave perdita, ma al tempo stesso la notizia ha riacceso i riflettori dell’informazione sulla difficile situazione del Paese africano.
«L’uccisione di Luca ha fatto parlare del Congo in Occidente. Chi arma questa gente, questi ribelli, con armi peraltro di ultimo tipo? La situazione del Congo purtroppo non fa notizia. Con la morte di Luca se n’è parlato. Speriamo si continui a farlo. Non si può concepire una umanità di serie A e B. E poi: chi ci ridà un aiuto così? Chi ridà a noi missionari un altro ambasciatore come Luca? Ecco il valore del “non uccidere” nella parola di Dio. Siamo unici e irripetibili. Luca ha mostrato al Congo l’immagine del vero italiano, un uomo eccezionale. La sua famiglia sia fiera di aver dato al mondo e alla Chiesa – perché Luca era un uomo di fede – una persona così».