Una settimana dopo l’operazione che ha portato a cinque arresti per un presunto giro di mazzette ai dirigenti dell’Agenzia delle Entrate in cambio di favori sulle pratiche fiscali, le indagini della guardia di finanza, coordinate dal sostituto procuratore Pasquale Addesso proseguono per accertare eventuali ulteriori irregolarità di quello che è stato descritto come “un consolidato sistema corruttivo ancora in atto”.
Le misure cautelari sono al momento confermate per tutti gli arrestati. Ieri, il commercialista Stefano Pennestrì, in carcere come il padre Antonio, che nell’interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, ha chiesto di essere sentito dal pubblico ministero. Un lungo interrogatorio il cui contenuto è stato secretato. Non è escluso che anche Antonio Pennestrì possa fare la stessa scelta del figlio, anche se al momento non risulta che sia stato fissato alcun interrogatorio.
Al momento, non ci sarebbero altre richieste di poter parlare con il pubblico ministero. La scorsa settimana, nel primo interrogatorio dopo l’arresto, quattro dei cinque arrestati hanno scelto di rimanere in silenzio davanti al giudice. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere il commercialista Antonio Pennestrì, in carcere a Milano, a San Vittore; il figlio Stefano, che ieri però ha scelto di sostenere un lungo interrogatorio con il magistrato nel penitenziario di Monza, dove è rinchiuso; l’ex direttore dell’Agenzia di Como Roberto Leoni, da alcuni mesi spostato a Varese e ora in carcere a Busto Arsizio e l’unico degli indagati che ha ottenuto i domiciliari, l’imprenditore Andrea Butti. L’unico che ha fatto una scelta diversa è stato Stefano La Verde, ex capo team dell’ufficio legale dell’Agenzia di Como, che ha risposto alle domande del giudice fornendo la sua versione dei fatti. Tutte le dichiarazioni sono ora al vaglio degli inquirenti.