Nell’ottobre 2014 il Comune di Como assegnò un incarico di 16 mila euro a un’azienda esterna che accertò la presenza di veleni e inquinanti nelle acque sotto la Ticosa. Tre anni dopo, non soltanto non si sa ancora l’origine esatta di quelle sostanze. Ma – beffa suprema – le indagini utili a capirlo non sono ancora state fatte.
Mille giorni di mostruosa burocrazia che contribuiscono a paralizzare il recupero dell’area e soprattutto impediscono di realizzare il sogno di migliaia di comaschi: ripristinare un maxi-parcheggio strategico alle porte di Como.
Sogno e promessa di decine tra sindaci, aspiranti sindaci, ex sindaci e pletore di assessori consiglieri comunali: si fa fatica a ricordare in quanti abbiano annunciato il ritorno delle auto in Ticosa. E invece, dopo il colpo di spugna del 2012 – per una bonfica eterna, costosissima e nemmeno finita – è venuto soltanto il nulla o quasi.
La città soffoca, da più parti si invocano i posteggi all’esterno del centro per togliere traffico dal girone e per dare quelle centinaia di posti auto che mancano al capoluogo. Ma da 5 anni e mezzo non accade nulla. Eppure i milioni del Comune sono volati: oltre 4 e mezzo in un lustro. Ne serviranno forse altri due. E intanto la mitologica “cella 3” – un cratere ricolmo di veleni al centro dell’area – è ancora squarciata e inquinata. E e analisi sulle acque saranno avviate soltanto a metà ottobre per dare gli esiti chissà quando.
E anche quando questo passaggio sarà completato, il 18 gennaio si dovrà attendere l’ennesimo round al Consiglio di Stato tra Comune e Multi, l’azienda che vinse l’appalto ma ha abbandonato l’impresa.
Insomma, la Ticosa è sempre più un gigantesco buco nero, simbolo di fallimenti in serie. E intanto, il parcheggio dei sogni somiglia sempre più a una crudele utopia.