Lui, vicepreside di una scuola media comasca. Lei, insegnante. Si invaghisce di lui. Ma la cotta diventa un’ossessione: fino a trenta telefonate al giorno, una persecuzione lunga otto anni. Questa, almeno, è la versione resa dal vicepreside, presente oggi in aula, a differenza dell’imputata.
Imputata assolta dal tribunale di Como in composizione monocratica perché il fatto non sussiste. Le condotte della professoressa 55enne, ha spiegato il giudice Mariani, non hanno generato nel vicepreside conseguenze sufficientemente pesanti da poter inquadrare il reato di stalking, codificato da condizioni ben precise a carico della vittima: cambiamento delle abitudini di vita, stato d’ansia o paura e timore per la propria incolumità.
La professoressa, secondo quanto emerso oggi in aula, avrebbe tempestato di chiamate il vicepreside per otto anni fino al 2014. Venti, trenta telefonate al giorno. Che l’uomo all’inizio ha nascosto a moglie e figlia per imbarazzo o timore di essere frainteso, nonostante abbia ribadito di aver avuto con la donna solamente un rapporto di tipo professionale. Telefonate alle quali spesso l’uomo non rispondeva. Ma la professoressa continuava, fino a costringerlo a cambiare numero di telefono, a evitare alcune zone della Bassa Comasca e a non andare mai al lavoro da solo.
“L’assoluzione – è il commento di Fabrizio Diana, avvocato difensore del vicepreside – è una sentenza che, secondo noi, non rispecchia la realtà, vogliamo giustizia e ricorreremo in Appello”.