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I sindacati che fanno le verginelle sulle Poste mi fanno venire il nervoso.
Le Poste italiane non hanno mai funzionato.
E non da oggi che sono state parzialmente privatizzate.
Le Poste italiane sono sempre state un carrozzone che nel centro-sud fungeva da ufficio di collocamento: il politico prometteva l’assunzione in cambio di voti; il sindacato faceva lo gnorri in cambio di tessere e dunque di maggior potere.
Così che le assunzioni superavano di gran numero le esigenze di servizio.
Lo stipendio a fine mese era assicurato, lo svolgimento del lavoro era un optional.
Tant’è vero che quando un collega d’ufficio va al rallentatore si è soliti apostrofarlo, scherzosamente ma non troppo, col termine “dipendente delle poste”.
Negli anni ’80, la mia mamma era solita acquistare per corrispondenza diversi articoli da alcuni cataloghi, tipo Postal Market, ebbene anche allora – e non c’era alcuna privatizzazione sia pure parziale – gli scioperi erano all’ordine del giorno: tu ordinavi qualcosa, l’azienda te lo spediva, le Poste impiegavano settimane e settimane per consegnarti la merce, causa sciopero…
Vediamo dunque di non fare gli smemorati.
I problemi di oggi originano da allora, a mio parere: se tu sei abituato, da decenni, a un certo comodissimo tran tran, non è che vedi di buon occhio l’aumento del carico di lavoro e la velocizzazione del medesimo, ecco allora che, magari, metti in atto delle strategie volte a rallentarlo.
E ovviamente la colpa ricade sui vertici e sulla – parziale – privatizzazione.
Io non metto piede in un ufficio postale italiano da almeno un anno: faccio tutto, o quasi, on line, così mi evito di aspettare degli eterni quarti d’ora perché chi mi precede deve versare o prelevare sul /dal proprio conto postale. Sono di una lentezza esasperante. Capita sempre qualche intoppo. Un correre avanti e indietro alla affannosa, ma non più di tanto, ricerca del collega presunto più esperto.
Se proprio devo andare in posta, mi servo della Posta svizzera.
Tutta un’altra musica.