“La detenzione di un’arma è d’obbligo per un affiliato. Fa parte dello statuto di un ‘ndranghetista”. Sono le parole di Marcello Tatangelo, magistrato dell’Antimafia di Milano, arrivato oggi a Como per la requisitoria nel processo che vede imputato per detenzione abusiva d’armi un 41enne originario di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, già condannato per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Insubria.
Insubria, che risale all’ottobre del 2014, rappresentò un duro colpo contro la criminalità organizzata lariana: vennero sgominati i locali di ‘ndrangheta di Fino Mornasco e Cermenate, in provincia di Como, e Calolziocorte, in provincia di Lecco, e vennero distribuite 35 condanne per un totale di 162 anni di carcere.
Proprio nell’ambito dell’operazione Insubria, quando i carabinieri notificarono l’ordinanza di custodia cautelare al 41enne calabrese residente in provincia di Como, trovarono in casa un’arma, una pistola Beretta perfettamente funzionante.
L’imputato, oggi, si è difeso dicendo che la pistola era del suo socio, che l’aveva aiutato a montare le plafoniere di casa. E che, ha detto il 41enne, girava abitualmente armato. L’amico – in base alla ricostruzione dell’imputato – appoggia la pistola su una mensola, la dimentica, i carabinieri la trovano e il 41enne deve rispondere di detenzione abusiva d’arma, aggravato dal metodo mafioso.
Il pm Tatangelo ha ricordato nella requisitoria come, alla luce della sua condanna nel processo Insubria, l’imputato faccia parte di “un’associazione armata”, per la quale “avere un’arma è d’obbligo”. Ha chiesto una pena di due anni e seimila euro di multa.
La difesa dell’uomo ha ribadito che “l’unica colpa dell’imputato è non essersi accorto dell’arma dimenticata dall’amico”. Il processo è stato rinviato al 25 gennaio per le repliche e la lettura della sentenza.