La “botta” come scrive il segretario cittadino del Pd, Stefano Fanetti, c’è stata. Tanto che lo stesso dirigente dei dem di Como si dice “disponibile a fare passi indietro o di lato” per il bene della comunità.
Ma, nello stesso tempo, la notte orribile del referendum almeno a Como città lascia qualche appiglio in più al Partito Democratico per non vedere nero ovunque. Se è vero, infatti, che il Sì si è comunque fermato al 47,85% soccombendo davanti alla vittoria del No, va anche detto che la differenza rispetto alla media provinciale e nazionale è abbastanza sensibile. E soprattutto, in ben 24 sezioni su 74 il Sì l’ha comunque spuntata, dato tutt’altro che scontato. Non basta: in altri 7 casi, il No si è aggiudicato lo “sprint” per meno di un punto percentuale, dopo un testa a testa mozzafiato.
Per paradosso, tra l’altro, a far pendere complessivamente la bilancia a favore dei contrari alla riforma varata dal governo Renzi è stato il largo margine con cui in diverse sezioni di periferia (Ponte Chiasso, Albate, Prestino per citarne tre) il No ha vinto sul Sì. Mentre le sezioni dove i favorevoli l’hanno spuntata si trovano in diversi casi nelle zone centrali del capoluogo (alcuni casi: via Brambilla, via Sinigaglia, via XX Settembre).
Come a dire che la riforma in città non è passata, ma il renzismo in numerose “sacche” di resistenza è malato ma tutt’altro che morto. Anche se, forse, proprio questi casi testimoniano un potenziale cambiamento di pelle dell’elettorato di Matteo Renzi, sempre più nelle zone centrali (mediamente più anziane e benestanti) e un po’ meno nelle teoriche roccaforti periferiche, sempre più teoriche e sempre meno roccaforti.