Riportare Gesù al centro dell’esperienza umana, e mettere al bando ogni egoismo: ecco lo spirito della Pasqua più autentico, secondo il vescovo di Como. Monsignor Diego Coletti nel corso delle omelie durante la veglia pasquale e nel pontificale di domenica scorsa ha ripercorso i cardini fondamentali della fede cristiana, nell’anno giubilare della misericordia. «La fede viene dall’ascolto della Parola di Dio, luce che illumina i nostri cuori e apre di fronte a noi la strada», ha detto durante la meditazione della veglia. «Anche se nella vita ci sono ombre e angoli bui, Gesù ci invita a camminare dietro di lui. Una luce, quella che irradia, che invita a essere “per gli altri”. In altre parole – ha sottolineato monsignor Coletti – Dio non si compiace di se stesso, non si chiude nel suo splendido isolamento, non si occupa di sé ma sin dall’inizio della creazione e lo conferma tutta la storia della salvezza, è il “Dio per noi”. Dobbiamo sempre essere spinti ad essere un dono, un’accoglienza, un’offerta di fraternità e di amore per gli altri». «Il peccato mortale più profondo e più contrario alla vita – ha aggiunto il vescovo di Como – è la chiusura in noi stessi, concepirla come qualcosa che deve rendere a noi soli». «La Pasqua ci invita a essere felici. Così possiamo somigliare a Gesù, e possiamo dare la vita per chi amiamo. E dove sta la felicità?» si è chiesto monsignor Coletti.
La risposta sta tutta nel “discorso delle Beatitudini” del Vangelo di Matteo, al capitolo 5: «La vita dev’essere un capolavoro di gioia, non cerchiamola nella ricchezza, nel potere, nella salute, nella vittoria sui nemici. Sono beati quelli che hanno uno spirito di povertà, quelli che vivono nella mitezza, gli umili, i costruttori di pace, i puri di cuore. Chi ha fame e sete di giustizia e i misericordiosi». Teologicamente più complesso e in qualche passaggio anche provocatorio il nucleo della riflessione nel giorno di Pasqua: «“Perché cercate tra i morti?”, dice il Vangelo – ha ricordato Coletti – Per molti credenti Gesù è un cadavere, onorato e rispettato, circondato da qualche cerimoniale ma pur sempre un morto». Ma la fede «ci domanda di incontrarlo vivo e vittorioso. E quale energia e quale forza ha portato il Figlio di Dio alla vittoria sulla morte? L’aver portato la vita a un livello tale da renderla così forte che neppure la morte può più trattenerla». Cioè «una vita spesa gratuitamente per amore dei peccatori, di chi non se lo merita, di chi per se non è per nulla amabile, come siamo tutti noi». «Vivo per avere? Per potere? Vivo per godere? Tutto questo morirà senza risurrezione», ha detto il vescovo di Como.