“Molte inchieste legate al settore finanziario e parabancario traggono origine da fatti o persone legate all’Italia, una delle nazioni con il maggior tasso di criminalità economica”. Una frase, messa nero su bianco in comunicato stampa della Polizia Cantonale, che non lascia spazio a interpretazioni. Supportati dagli ultimi dati gli svizzeri tornano a puntare il dito contro il belpaese.
E’ quanto emerge dal resoconto del 2014 riguardo ai reati economico-finanziari. Lo scorso anno la specifica sezione ha lavorato a 179 inchieste che hanno portato a 31 arresti. Il 51% delle persone denunciate è di nazionalità italiana, il 39% è invece di nazionalità svizzera. I reati denunciati in Ticino sono prevalentemente: documenti falsi, truffa, appropriazione indebita, amministrazione infedele e il riciclaggio di denaro.
Comportamenti scorretti in parte motivati dalla fase di cambiamenti per la confederazione elvetica legata agli accordi fiscali, al segreto bancario, al nuovo assetto delle relazioni internazionali finanziarie.
E’ emerso inoltre che le cassette di sicurezza in mano a fiduciarie e privati stanno aumentando. “Proprio nel settore fiduciario – viene chiarito – si constata la presenza di un numero sempre maggiore di attori, quasi sempre stranieri, sprovvisti dell’autorizzazione all’esercizio e non affiliati ad un organo di autodisciplina che commettono illeciti penali e fiscali”. “Alla base troviamo di nuovo clienti italiani – si legge nel comunicato – che vogliono sfuggire alla morsa del fisco del loro paese ma una volta ottenuto un permesso di residenza in Ticino anche da quello ticinese”.
Viene poi precisato come tra le indagini del 2014 rientri l’inchiesta a carico di una società, che svolgeva proprio l’attività di fiduciaria senza però avere la dovuta autorizzazione. Fra le attività svolte anche la costituzione di società (prevalentemente anonime, non operative e senza uffici propri) con liberazione “fittizia” del capitale messe poi a disposizione di presunti imprenditori italiani. “Le società svizzere servivano per “ottimizzare” il carico fiscale delle società italiane riconducibili a questi imprenditori – viene specificato nel comunicato diffuso dalla polizia cantonale – oppure per far figurare il trasferimento dell’attività stessa in Svizzera”. Un altro esempio citato riguarda la chiusura di due fiduciarie che, neanche a dirlo, facevano capo a italiani, che avvicinavano connazionali in difficoltà “promettendo – spiegano le autorità elvetiche – finanziamenti tramite complessi strumenti finanziari legati a inesistenti garanzie bancarie e linee di credito, riuscendo così a farsi anticipare spese per l’emissione di credito o finanziamento in realtà mai erogato. Almeno una trentina le vittime con un danno di 2.5 milioni di franchi”.