Operazione Insubria: nelle pagine dell’ordinanza che ha portato in carcere 35 persone e altre tre ai domiciliari, emergono particolari inquietanti. Come le intimidazioni a un sindaco, minacciato con una croce e una bomba a mano, o la pianificazione di un attentato a un avvocato.
Partiamo dal secondo episodio. Un legale del foro di Como aiuta (con il proprio legittimo lavoro) una società a recuperare parte di un credito. L’imprenditore soccombente chiede aiuto ad amici che fanno capo a quel Michelangelo Chindamo ritenuto essere al vertice del locale di Fino Mornasco. I malavitosi fanno sopralluoghi nei pressi della casa del legale, progettano di sparargli alle gambe oppure alle finestre con un fucile a canne mozze. I carabinieri però li controllano e trovano il modo di far saltare il piano.
Fino Mornasco, spiegano i magistrati della Dda, è da molti anni nel mirino delle cosche. «Il locale di Fino Mornasco era “storico”, uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia, in virtù delle plurime attività sul territorio costituite dal traffico di stupefacenti e dalle estorsioni e in virtù della presenza di infiltrazioni anche nella pubblica amministrazione». «Dal settembre 2011 all’ottobre 2012, nel territorio» del paese alle porte del capoluogo si «succedono» numerosi «atti intimidatori che, pur se all’apparenza scollegati, possono essere ricondotti a un filo comune». Un filo tessuto dalla ’ndrangheta.Si legge ancora nell’ordinanza che «la situazione nel comune è di rilevante allarme sociale». E tra le vittime designate ci sono il consigliere comunale Antonio Chindamo e il sindaco, Giuseppe Napoli, al quale viene spedito un messaggio terribile. Il 18 maggio 2012, «nei pressi del cimitero» di Fino, gli investigatori trovano «una croce di legno» su cui è stata affissa la foto del primo cittadino. Sulla croce viene lasciata anche una bomba a mano.