Storia antica quella della lotta allo smog. Aria irrespirabile, inquinanti sempre più aggressivi, sistemi di controllo, monitoraggio e contenimento che sembrano rimescolare più il dibattito politico che l’aria afflitta da polveri e gas.
E così s’è provato di tutto. Blocchi del traffico, targhe alterne, sistemi anti particolato, utilizzo intelligente dei riscaldamenti. Rigorosissimi limiti europei che vietano più di un tot di giorni di superamento degli inquinanti alle città, ovviamente mai rispettati. Negli ultimi 30 anni passi avanti, tra azzardi e azioni più o meno incisive, se ne sono fatti e la situazione pur ancora drammatica ha registrato nel complesso qualche miglioramento generale.
Ma la storia recente comasca ricorda anche un paio di indimenticabili tentativi (tra scienza e pseudoscienza comunque ormai ampiamente archiviati) che pur non avendo inciso minimamente sull’effettivo abbassamento delle polveri hanno avuto una certa risonanza mediatica anche fuori del confine provinciale.
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Primo esperimento fu il biofix. Una colla magica da spruzzare sull’asfalto che avrebbe dovuto imprigionare le polveri alla strada e evitarne la dispersione. Nulla di fatto, test portato avanti da diverse città con le polveri che svolazzavano allegramente indifferenti all’adesivo, e quindi rapidamente finito nel cassetto delle buone intenzioni. Il secondo tentativo vide un progetto più ambizioso e, va detto, immediatamente contestato per la base scientifica da cui partiva. Un bioionizzatore , installato nel marzo del 2010 sul tetto del Comune di Como, che sulla base di, spiegarono all’epoca, elementi naturali come luce e acqua avrebbe dovuto creare una sorta di cupola invisibile sopra la città (alta 800 metri e con un raggio analogo) capace di neutralizzare lo smog agganciandolo all’interno di gocce d’acqua che poi sarebbero dovute cadere a terra. Qualche mese di sperimentazione – molto vapore emesso dal marchingegno – ma nessun risultato sensibile.